Una importante sentenza della Corte di Appello, seconda sezione civile, di Venezia, ottenuta dall’avvocato Matteo Ceruti, della rete professionale Lpteam, in tema di ambiente. Al centro di tutto c’era quella che, secondo le valutazioni fatte dalla Provincia di Verona, sarebbe stata, figurativamente, una attività di acquacoltura, in realtà una vera e propria cava abusiva. Un espediente al quale, secondo questa ricostruzione, non si assiste per la prima volta.
La Provincia, rilevando come, a seguito della concessione edilizia, ottenuta nel 2003, fossero stati commercializzati abusivamente oltre 800mila metri cubi di ghiaia, per fini edili, aveva notificato una ordinanza ingiunzione relativa al pagamento di una sanzione nell’ordine degli 11 milioni di euro, ritenendo come fosse stata posta in essere una vera e propria attività di cava abusiva. Il tutto anche sulla base di una consulenza e di una valutazione richieste a un geometra.
La società destinataria del provvedimento aveva, da parte sua, opposto l’ordinanza ingiunzione, notificata a luglio del 2013, ottenendo, in primo grado, a gennaio 2018, una sentenza che, di fatto, rappresentava una vittoria: la sanzione, infatti, era stata rideterminata in 300 euro circa, con annesso pagamento delle spese legali, per 1500 euro al massimo.
Da qui l’appello della Provincia di Verona, con il giudice di secondo grado che ha sostanzialmente accolto l’impugnazione, spiegando anche quale delle due normative che sanzionano l’esercizio di cava abusiva fosse da applicare in questo caso concreto, tra la legge regionale 19 del 1998 e la 44 del 1982, al momento di determinare la sanzione.
Il giudice, in buona sostanza, ha ritenuto che, laddove la prima punisce in generale l’esportazione di materiale da escavazione frutto dei lavori per realizzazione di una attività di acquacoltura in mancanza di autorizzazione all’esercizio dell’attività di casa, la seconda, invece, punisca, in questi casi, la commercializzazione e l’utilizzo per fini edili del materiale ricavato nel corso di escavazioni avvenute in assenza dell’autorizzazione all’attività di cava. E’, di conseguenza, secondo la valutazione del magistrato, quella da applicare.
Da qui la decisione finale che, ribaltando di fatto quella di secondo grado, ridetermina la sanzione in 5 milioni di euro circa.