Tutti rinviati a giudizio, per le ipotesi di reato contestate dalla Procura e addirittura oggetto di una integrazione in udienza preliminare. E’ l’esito dell’importante processo ambientale che vedeva l’avvocato Matteo Ceruti, promotore della rete professionale Lpteam, sostituito in udienza dall’avvocato Marco Casellato, componente della rete professionale, costituito parte civile a tutela della imprenditrice agricola che avrebbe fatto le spese delle condotte contestate dalla Procura ai tre imputati.

Una storia che parla non solo di un processo ambientale, ma anche quella di un calvario personale. Da parte della titolare di una azienda agricola che per anni ha dovuto – a quanto contestato dall’accusa – convivere con la vicinanza di una ditta che si occupava di smaltimento e di riciclo di rifiuti speciali, in prevalenza plastica e vetro, ma non solo. Teatro dei fatti, Villa Poma, nel Mantovano, nel periodo che va dal 2015 al 2017.

Numerosi i reati contestati ai dirigenti apicali della società dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mantova, a partire dal delitto di “inquinamento ambientale” ex art. 452 bis del Codice penale (introdotto dalla legge del 2015 sugli “ecoreati”) che avrebbero causato significativi pregiudizi alla Provincia, al Comune e alla imprenditrice agricola. Reati che, secondo la ricostruzione accusatoria, avrebbero caratterizzato la gestione della ditta La Vetri Srl, a tutto danno della confinante.

Viene contestata ai titolari dell’azienda la violazione delle autorizzazioni e delle prescrizioni emesse dalla Provincia di Mantova, così da arrivare alla contaminazione del suolo, dei campi circostanti e anche di un fossato, tramite percolamento dei rifiuti presenti, in particolare in occasione di piogge ingenti; quindi, una gestione dei rifiuti eccedente le autorizzazioni, in alcuni casi senza controllo, tra cui un deposito, accertato dalla Guardia di finanza e quindi oggetto di sequestro, da 25mila tonnellate di vetro.

Violazione e omissioni che si sarebbero tradotte, secondo l’accusa, in un risparmio di svariati milioni di euro per la ditta. Il tutto dunque nell’interesse e a vantaggio della società (consistiti nel risparmio di spesa derivante dal mancato rifacimento del plateatico aziendale  e dai costi del mancato adeguamento degli impianti alle prescrizioni autorizzative) . Di qui anche l’illecito amministrativo da reato di cui al D.l.vo 231/2001 contestato alla società per non avere adottato e comunque efficacemente attuato un modello di gestione idoneo a prevenire il reato di inquinamento ambientale.

Come detto, all’udienza preliminare la Procura ha depositato l’integrazione delle imputazioni. Tra le ulteriori contestazioni, un elenco più esteso e dettagliato delle aree nelle quali sarebbero stati abbandonati i rifiuti, in maniera non consentita, ma anche una dettagliata descrizione, ai fini della contestazioni del reato di cui all’articolo 674 cp, di come la polvere di vetro e piccoli residui plastici, nonostante le diffide, si sarebbero depositati sui terreni della imprenditrice agricola.

La storia del procedimento penale è infatti anche quella di una costante attività di denuncia da parte di quest’ultima, che per anni ha cercato attenzione da parte delle istituzioni, per segnalare quanto stava avvenendo sui suoi campi: odori intollerabili, contaminazione del suolo, polvere di vetro e altri residui che puntualmente uscivano dai confini della ditta per finire sui suoi campi, con danni economici, ma anche con lo stress legato alle preoccupazioni per la propria salute e per il destino della propria impresa, il cui valore, ovviamente, subiva un deprezzamento a causa delle condizioni dei dintorni.

Una lotta legale proseguita per anni. Non solo con puntuali esposti susseguitisi, per documentare puntualmente i vari episodi di inquinamento, ma anche con una lunga battaglia di fronte al Tar Brescia che aveva condotto nel 2012 all’annullamento delle originarie autorizzazioni alle emissioni e alla gestione dei rifiuti, una costante attività di sprone alla Provincia per segnalare i problemi, ottenendo l’emissione di diffide (ignorate, però, dalla destinataria, secondo l’accusa della Procura) sino ad arrivare nel dicembre 2019 alla definitiva revoca dell’autorizzazione ad operare nell’impianto.

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