La Cassazione penale chiarisce: i danni patrimoniali conseguenti al traffico organizzato di rifiuti non strettamente “ambientali” vanno risarciti al comune di localizzazione dell’impianto di trattamento illecito (e non al ministero dell’ambiente).

Una pronuncia della Corte di Cassazione, quella dello scorso 11 giugno (LEGGI QUI), che apre importanti scenari per l’ente locale costituito parte civile nei processi ambientali, nel caso di specie affidata all’ avvocato Matteo Ceruti, che ha seguito il procedimento in Cassazione, mentre, nei primi due gradi di giudizio,la difesa  era stata  affidata al collega Marco Casellato, entrambi della rete Lpteam.

Nel processo per traffico organizzato di rifiuti ai sensi dell’art. 260 del d.lgs. 152/2006 (oggi punito dall’art. 452-quaterdecies del codice penale) il ricorso presentato dal Comune di Adria, per l’annullamento della sentenza della Corte d’appello che aveva (apparentemente) escluso il diritto del Comune al ristoro dei danni patrimoniali (riconoscendone la titolarità in capo al Ministero dell’ambiente), è stato formalmente dichiarato inammissibile. Nondimeno, nelle motivazioni della sentenza emerge come in realtà la Cassazione ha condiviso la tesi del ricorrente che la municipalità ha diritto al risarcimento dei danni patrimoniali (oltre che con patrimoniali) subiti, in conseguenza dei costi sopportati per le analisi del materiale presente nel sito, per eventualmente procedere alla caratterizzazione, bonifica o comunque allo smaltimento dei rifiuti presenti nell’impianto (non avendo la società mai provveduto alla rimozione dei fanghi), nonché le spese per la caratterizzazione dei terreni ove è avvenuto lo sversamento dei rifiuti.

Da qui, appunto, potrebbe partire un successivo giudizio civile volto alla loro corretta determinazione.

Il caso è quello del cosiddetto processo “Coimpo Bis”, figlio dell’inchiesta collegata, ma successiva, a quella sulla tragedia sul lavoro che, il 22 settembre del 2014, vide quattro lavoratori essere uccisi da una nube tossica nell’impianto Coimpo – Agribiofert in località America, Ca’ Emo (LEGGI QUI). In questo secondo filone di inchiesta, l’accusa contestava agli imputati il delitto di attività organizzata per il traffico di rifiuti connesso alla gestione irregolare della fase di trattamento dei fanghi, dai quali si otteneva fertilizzante, che sarebbe stata volta unicamente a trattare la maggior quantità possibile di prodotto nell’unità di tempo, massimizzando quindi il profitto a scapito dell’osservanza dei vari passaggi prescritti dalle autorizzazioni.

Il capo di imputazione vedeva gli imputati, in particolare, accusati del

Delitto di cui all’art 110 c.p. e all’art. 260 comma 1°, del D. L. vo 152/2006, perché (…)  attraverso plurime azioni, rivelatrici di un medesimo disegno criminoso, con l’allestimento di mezzi e di attività continuative presso impianto ubicato in località Ca Emo, via America n. 4, del Comune di Adria (Ro), gestivano, ricevevano, cedevano e trasportavano, in concorso materiale e morale tra di loro, abusivamente ingentissime quantità di rifiuti speciali non pericolosi (fanghi civili ed agroindustriali ed altri rifiuti speciali) che non venivano sottoposti alle regolari e corrette procedure di recupero per la formazione di fertilizzante e di fango stabilizzato da distribuire in campagna, cosi come previste dalle autorizzazioni alla gestione di rifiuti rilasciate dalla Amministrazione provinciale di Rovigo, da ultime l’autorizzazione 3463 del 12.12.2013 in capo a C0.IM.PO. S.r.. e l’autorizzazione n. 346l del 12.12.2013 emessa in favore di Agri.bio. fert. Correttivi s.r.l., con successivo illecito Smaltimento su suolo.

Il volume dei rifiuti gestiti viene indicato in:

-anno 2013: sono state complessivamente ricevute 95.855 tonnellate, che gli elementi raccolti portano  a ritenere come gestiti e smaltiti, in misura elevata, in forma illecita (quantomeno ciò emerge per almeno 50.000 metri cubi di rifiuti smaltiti come fertilizzante);

– anno 2014: nel corso del quale sono giunte in impianto almeno 81.104 tonnellate; di queste, nel solo periodo dal 26.08.2014 al 22.09.2014, ton. 3.952 sono state gestite illecitamente nella fase di ingresso, altre ton. 5.121 sono invece state smaltite irregolarmente su terreni agricoli, per un totale di 9.073 ton. di rifiuti gestiti,

– anno 2015: risultano pervenute in CO.IM.PO Srl oltre 34.000 tonnellate di rifiuti, di cui 5.186 tonn. gestite illegalmente in fase di ingresso nel solo periodo dal 05.11.2015 al 31.12.2015 in quanto stoccati in aree non autorizzate (180 t.), ammassati in bacini destinati ad ospitare rifiuti dal diverso stato fisico palabile anziché liquido, 121 t), avviati direttamente all’operazione di recupero invece che alla prevista messa in riserva (4.611 L), riversati direttamente nella vasca contenente i fanghi stabilizzati pronti per la distribuzione in campagna (274 t.);

– anno 2016: nei primi sette mesi dell’anno, malgrado i ridotti volumi di rifiuti movimentati, si registrano operazioni irregolari in entrata per 1.747 tonnellate di rifiuti, di cui 98 ton. Stoccate in aree non autorizzate, 36 ton. ammassate in bacini destinati ad ospitare altre tipologie di rifiuto, ben 1.613 ton. riversate direttamente nelle vasche contenenti i fanghi stabilizzati pronti per la distribuzione in campagna dalle quali, poi, sono state prelevate ed avviate all’utilizzo in agricoltura 1.054 ton. di fanghi, ritenuti perciò non correttamente trattati; le uscite irregolari si integrano con altre 208 ton. di rifiuti non stabilizzati né analizzati in alcuna maniera avviati alla distribuzione in agricoltura, circa 84 tonnellate di fanghi stabilizzati che non sono state appositamente dichiarate nella documentazione redatta in quanto eccedenti i limiti di distribuzione ammessi, nonché da circa 1.249 tonnellate di rifiuti che, per caratteristiche analitiche, non potevano essere smaltite alla maniera di fertilizzante come invece accaduto, per un totale quindi đi oltre 2.595 tonnellate di rifiuti smaltite illecitamente in agricoltura. Complessivamente, quindi, la somma dei rifiuti gestiti in forma irregolare nei primi sette mesi del 2016 è stimato in oltre 4.342 tonnellate;

Il tutto al fine di conseguire un ingiusto profitto, che si concretizzava principalmente, tanto per Coimpo Srl, quando per Agribiofert Correttivi s.r.l., in risparmio dei costi di lavorazione dei rifiuti, di fatto non eseguita o compiuta in dispregio delle norme di legge, e delle prescrizioni delle autorizzazioni d’esercizio, oltre ad una economia per Coimpo Srl sui costi di conduzione dei terreni su cui distribuire la quantità di rifiuti trattati, che, invece, venivano riversati, perlopiù in modo clandestino, camuffati da fertilizzante o fango stabilizzato, sui terreni disponibili in quantitativi di molto superiori a quelli fissati dalle norme.

In Adria (RO), ncl corso degli anni 2013, 2014, 2015, 2016 e fino al 10.12.2017.

 

Dopo le condanne in primo grado e in appello, due imputati avevano presentato ricorso alla suprema corte, ottenendo dalla cassazione una pronuncia di inammissibilità. Un diverso ricorso in Cassazione era stato presentato anche dall’avvocato M. Ceruti, per il Comune di Adria, per ottenere il riconoscimento di tutte le fattispecie di danno subite dalla municipalità che la corte d’appello di Venezia aveva (apparentemente)  escluse ritenendole afferenti al “danno ambientale” risarcibile al Ministero dell’ambiente.

“Propone ricorso per cassazione anche il Comune di Adria, parte civile costituita, deducendo i seguenti motivi – si legge infatti nelle motivazioni della sentenza di Cassazione –  violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 1, art. 112 c.p.c. La Corte di appello, pur dichiarando parzialmente fondato il motivo di gravame (proposto dalla stessa parte) relativo alle statuizioni civili, ritenendo quantomeno il danno all’immagine più grave rispetto a quello patito dagli enti territoriali, non avrebbe tuttavia liquidato il danno ambientale, perché suscettibile di essere riconosciuto soltanto al Ministero dell’Ambiente. Nel gravame, tuttavia, il Comune avrebbe chiesto il riconoscimento di danni patrimoniali, diversi da quello all’immagine e quello ambientale, ottenendo peraltro risposta affermativa nella sentenza di primo grado, immotivatamente smentita da quella di appello”.

Come detto, formalmente la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ma, nelle motivazioni, ha di fatto riconosciuto la fondatezza di entrambe le fattispecie di danno patite dal Comune.

“Tanto premesso, il Collegio osserva che la Corte di appello, nonostante un tenore letterale (solo) apparentemente difforme (rispetto al Tribunale di primo grado, ndr), ha confermato del tutto le statuizioni già emesse dal Tribunale, che aveva riconosciuto al Comune di Adria danni non patrimoniali, come quello all’immagine, e patrimoniali, nei termini appena sopra richiamati; la sentenza di secondo grado, infatti, ha soltanto aumentato la misura della provvisionale, con riguardo al danno all’immagine, senza intaccare l’an della responsabilità in ordine agli altri danni lamentati e riconosciuti, di carattere patrimoniale. La contraddizione evidenziata nel ricorso, dunque, non sussiste, in quanto la sentenza di appello ha confermato – non certo sminuito – la portata oggettiva dell’intero danno già riconosciuto dal Tribunale, pienamente ribadito”.

In particolare, viene ribadito quanto avevano sottolineato i giudici di primo grado.

“La sentenza di primo grado – scrivono ancora i giudici nelle motivazioni – ha innanzitutto riconosciuto in favore della stessa amministrazione il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’immagine; quanto al danno patrimoniale, ha riconosciuto i costi “che derivano certamente dal documentato coinvolgimento nel procedimento amministrativo volto alla caratterizzazione dei terreni ove è avvenuto lo sversamento”. Ancora, il Tribunale ha riconosciuto che il Comune “dovrà accollarsi anche i costi per le analisi del materiale presente nel sito, per eventualmente procedere alla bonifica o comunque allo smaltimento dei rifiuti presenti, non avendo la società Co.im.po. mai provveduto alla rimozione dei fanghi”.

In altri termini, la Cassazione operando un’interpretazione correttiva della motivazione della sentenza d’appello, mette nero su bianco come, tra i danni risarcibili al Comune interessato dal reato di traffico organizzato di rifiuti, non ci sia unicamente il pregiudizio non patrimoniale e “di immagine” subito dall’ente locale, ma anche quello conseguente ai costi di caratterizzazione, smaltimento e bonifica dei rifiuti, chiarendo in modo puntuale che questi ultimi non sono affatto un “danno ambientale” strettamente inteso (come tale risarcibile al Ministero dell’ambiente).

Una sentenza dunque che costituisce un importante precedente, utile agli enti locali per chiedere il ristoro dei danni patrimoniali subiti in vicende di gravi illeciti nel settore del trattamento dei rifiuti, sempre più ricorrenti.

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