Perché un determinato comportamento possa essere considerato un atto sessuale e, quindi, integrare la fattispecie della violenza sessuale, non è sufficiente che interessi l’area degli organi genitali, ma deve essere presente, come elemento soggettivo, la consapevolezza della valenza sessuale di quel gesto e una finalità a questa connessa: un principio ribadito dalla Corte di Cassazione e che ha consentito all’avvocato Carmelo Marcello, dello studio MGTM Avvocati Associati di Ferrara, componente della rete professionale Llpteam, di ottenere una importante assoluzione, di fronte al giudice per le udienze preliminari di Firenze.
A giudizio, appunto con la pesante ipotesi di violenza sessuale, un infermiere che, a inizio 2023, avrebbe toccato nella zona genitale una paziente che si era rivolta al pronto soccorso ospedaliero, durante la fase del triage. La ragazza, poi, dopo essersi consultata con la sorella, sporse denuncia e il procedimento penale fece il proprio percorso, sino al processo con rito abbreviato davanti al Gup di Firenze.
Nette le considerazioni che hanno condotto il giudice per le udienze preliminari a pronunciare una sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”. In primo luogo, la verosimiglianza della ricostruzione difensiva: non si sarebbe trattato di “palpeggiamento”, ma di una ispezione – esplorazione vaginale, logica e appropriata – anche secondo la letteratura prodotta dalla difesa – alla luce della sintomatologia lamentata dalla paziente.
Se, quindi, l’infermiere avesse agito spinto da questo movente, cadrebbe ogni possibilità di contestare una violenza sessuale, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione.
“Rimane, quindi – scrive infatti il Gup nelle motivazioni che hanno condotto all’assoluzione – il dubbio ragionevole che effettivamente l’infermiere abbia agito così come ha agito non per commettere atti sessuali rilevanti ai fini dell’art. 609 bis c.p. e per come definiti dalla giurisprudenza di legittimità (tra le molte, per esempio, la pronuncia per cui ‘In tema di reati sessuali, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale dell’agente, in quanto è sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, mentre l’eventuale concorrente finalità ingiuriosa o minacciosa dell’agente non esclude la connotazione sessuale dell’azione'”, Cass. III n. 20459/19, oppure quella per cui “In tema di atti sessuali, la condotta vietata dall’art. 609-bis cod. pen. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore od a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima. Con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva. In motivazione – prosegue la sentenza della Cassazione, spiegando un esempio concreto – la Corte ha escluso che il compimento da parte dell’imputato – che svolgeva attività di animatore volontario presso una struttura in cui erano Ospitati bambini e adolescenti – di giochi che implicavano un ripetuto coinvolgimento fisico fosse qualificabile solo per questo “atto sessuale” essendo necessaria una verifica sulla direzione finalistica di tale condotta, volta ad accertare se il contatto corpore corpori fosse Stato posto in essere per esclusive finalità ludiche o per soddisfare gli istinti sessuali, Cass. III n. S1582/17)’, bensì per svolgere le sue mansioni d’infermiere cosi come richiestogli dalla qualifica professionale rivestita”.
Determinante, per l’assoluzione, è stato poi il lavoro difensivo volto a chiarire come il comportamento dell’infermiere non fosse stato inappropriato, bensì rispondente a disposizioni e protocolli in essere.
“E stato processualmente accertato – proseguono infatti le motivazioni – che finanche l’esplorazione vaginale, non solo l’ispezione, può essere compiuta pure da un infermiere nulla rilevando che non sia una prassi frequente – e il documento prodotto dal difensore (con il consenso espresso del pubblico ministero) spiega bene in che cosa esse consistano. La consulenza tecnica di parte che è stata prodotta risulta molto bene argomentata ed è suffragata dalla normativa di riferimento e dalla letteratura scientifica di supporto. I suoi contenuti, che non mostrano lacune argomentative né vizi sul piano logico, di tal che è robustamente resistente a obiezioni anche sotto tale profilo, non depongono a favore dell’ipotesi d’accusa bensì, piuttosto, orientano a favore dell’ipotesi defensionale e sono idonee all’insorgenza del ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato”.
Le motivazioni stesse del Gup, infatti, mettono chiaramente in risalto l’importanza delle indagini e delle produzioni difensive per ricontestualizzare la vicenda e consentire di addivenire a una versione dei fatti solida e assolutamente contrapponibile a quella accusatoria.
“La versione offerta dall’imputato – scrive infatti il Gup – anche per come supportata dalle investigazioni difensive e dalle produzioni del suo difensore, è munita di una plausibilità non inferiore a quella della persona offesa, sulla quale per lo più si basa I’ipotesi d’accusa, posto che i narrati degli altri dichiaranti sono a loro volta basati per lo più sul riferito della vittima e ferme rimanendo le criticità in ordine alla mancanza di spontaneità nel narrato della vittima, che ha presentato querela solo dopo essersi consultata con la propria sorella, circostanza, questa, assai rilevante vieppiù se si considera che non è dato sapere quale sia stato il tenore di questo colloquio con la congiunta”.