Una notizia che ha avuto una importante eco mediatica, finendo su tutti i quotidiani, nazionali e internazionali, in questa primavera 2024. Ma che era emersa ben prima, per la precisione all’udienza dell’11 dicembre 2023, nell’ambito del processo ambientale sull’inquinamento da Pfas (le sostanze perfluoro e polifluoro alchiliche), in corso di fronte alla Corte di Assise a Vicenza, al quale gli avvocati di Lpteam sono presenti in forze, seguendo molte parti civili.
Era emersa, tra l’altro, grazie alla testimonianza di un esperto, il professor Annibale Biggeri, specialista in Igiene e Sanità Pubblica e in Statistica medica dell’Università di Padova, citato nel processo proprio dai legali delle parti civili.
Nel corso della propria deposizione in quella data, in particolare, il professor Biggeri ha riferito con chiarezza come, secondo l’approfondito studio epidemiologico a suo tempo commissionato dalla Regione Veneto, nell’arco di tempo che va dal 1985 al 2018, nell’area “rossa” (oggetto di contaminazione da Pfas), delle province di Vicenza, Verona e Padova, sono stati calcolati 3.890 morti in eccesso per tutte le patologie, ossia in confronto con i decessi degli abitanti delle stesse tre province ma residenti al di fuori dall’area contaminata.
Ciò significa un morto in più ogni tre giorni per 34 anni. Gli esiti dello studio epidemiologico sono stati pubblicati dall’importante rivista medico scientifica internazionale “Environmental Health”, con l’articolo del 16 aprile 2024 dal titolo “All-cause, cardiovascular disease and cancer mortality in the population of a large Italian area contaminated by perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances (1980–2018)”, che ha suscitato un grande clamore, anche al di fuori della comunità accademica (LEGGI L’ARTICOLO).
Tutto, però, come detto era già emerso nel corso del dibattimento che si sta svolgendo al Tribunale di Vicenza.
Gli imputati nel procedimento sono in tutto 15, i vertici delle aziende ritenute coinvolte nell’inquinamento da Pfas. Il dibattimento in corso è il frutto della riunione di due indagini, disposto dal giudice in sede di udienza preliminare. In particolare, il filone principale è quello che riguarda la contaminazione da Pfas a catena lunga (Pfoa e Pfos) che sarebbe avvenuta sino al 2013. Il secondo filone, invece, riguarda l’inquinamento ambientale (punito dall’art. 452 bis del codice penale) conseguente alla contaminazione da Pfas a catena corta (GenX e C6O4) dal 2013 al 2017. In questo secondo filone sono ipotizzati anche reati fallimentari, ossia relativi all’ipotesi di bancarotta, che vanno quindi ad aggiungersi a quelle di disastro (art. 434 c.p.) e avvelenamento delle acque destinate al consumo umano (art. 439 c.p.). Quest’ultima fattispecie prevede la competenza della Corte d’Assise, davanti alla quale è appunto aperto il dibattimento.
Presenti nel processo, come difensori di parte civile, tre avvocati della rete professionale Lpteam: Matteo Ceruti, promotore della rete professionale Lpteam, e i colleghi Cristina Guasti e Marco Casellato, componenti della rete. Assistono, come detto, diverse persone aderenti al movimento delle “Mamme No Pfas”. Si tratta di mamme, ragazzi e altri residenti nella zona rossa, che si sono sottoposte al biomonitoraggio, con esiti purtroppo positivi, ossia con il rilevamento di concentrazioni di Pfas nel sangue superiore ai valori di riferimento, in determinati casi con patologie, secondo la letteratura, correlabili con l’esposizione a Pfas.
Al centro delle deposizioni dell’udienza del Prof. Biggeri, le possibili conseguenze dell’esposizione a questi inquinanti sulla salute umana. Un tema che era stato toccato anche lo scorso 27 novembre 2023, tra le tante udienze dedicate a questo argomento, quando è stato sentito come consulente delle parti civili uno dei maggiori esperti mondiali sul tema, il prof. Philippe Grandjean, che ha illustrato la sua consulenza facendo il quadro completo di tutte le patologie correlate al Pfas, secondo le conoscenze medico-scientifiche internazionali.
L’11 dicembre, invece, viene introdotto il testimone, l’epidemiologo professor Annibale Biggeri. A porgli le domande, come avvocato di parte civile, l’avvocato Matteo Ceruti.
Una prima tematica che viene toccata è quella relativa a un aumento del rischio correlato al Covid nei Comuni dell’area rossa.
“abbiamo prodotto – ha spiegato il professor Biggeri – una mappa comunale su tutta Italia sulla mortalità Covid della prima ondata. Nell’ambito di quella, abbiamo approfondito la mortalità Covid nella Regione Veneto e in particolare quello che è stato trovato è un rischio aumentato di mortalità per Covid nei residenti dell’area rossa. Si tratta di un rischio sulla prima ondata del 60% di aumento e considerando però la relativa esiguità dei numeri, erano solo 63 i decessi nella popolazione dell’area rossa nella prima ondata. Abbiamo fatto un approfondimento successivo, prima seconda e terza ondata, quindi su 431 decessi e il rischio è stato confermato intorno a un incremento del 27%”.
Non solo: proseguendo su questo punto, il testimone ha anche spiegato che “l’aumento di rischio è proporzionato diciamo all’intensità dell’esposizione, perché come vedete lì si confronta la zona gialla, arancione e la zona rossa B e A. Quindi c’è una tendenza all’aumento che avvalora diciamo così l’interpretazione in senso causale dell’eccesso di mortalità in relazione all’esposizione a sostanze perfluoroalchiliche. Il motivo per cui c’è questo aumento deve essere indagato: può essere un aumento di letalità o un aumento di incidenza della patologia. Ma non sono questi i dati che sono in grado di rispondere a questa domanda”.
Il punto centrale dell’udienza, tuttavia, come detto, è stato dedicato allo studio della mortalità lungo un arco di tempo di oltre 30 anni in tutta la popolazione residente nella zona rossa veneta. Un approfondimento epidemiologico vastissimo che ha condotto a conclusioni di significativa evidenza.
Nel corso della propria deposizione, quindi, Il professor Biggeri ha affermato che nel periodo della contaminazione, cioè dal 1985 fino al 2018, si sono osservati 51.621 decessi, ossia un 7% in più rispetto alla mortalità attesa, aggiungendo che “Se i residenti dell’area rossa tra il 1985 e il 2018 avessero sperimentato la stessa forza di mortalità media che c’era nelle tre province e nel periodo 80-84 – ha quindi ribadito Biggeri – se tutto fosse rimasto uguale, non ci sarebbero stati 3.890 decessi”.
In particolare dallo studio emerge un’associazione causale tra l’esposizione ai Pfas e un rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari.
Inoltre l’analisi delle diverse classi d’età ha evidenziato che la popolazione più giovane, esposta ai Pfas già durante l’infanzia, è quella più colpita.
Infine dallo studio, esposto nel processo, è emerso un effetto protettivo nelle donne in età fertile, e quindi una maggiori effetti sulle donne “nullipare”. Questo fenomeno potrebbe essere attribuito al trasferimento, già documentato in letteratura, dei Pfas dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento, e alla conseguente diminuzione di livelli di PFAS nelle madri.
All’ulteriore domanda dell’avv. Ceruti “da questa analisi si può desumere che c’è stato un rischio che viene scaricato dalle madri sui figli?”, il prof. Biggeri ha risposto “Sì, qui poi bisogna entrare nel dettaglio degli studi che riguardano la distribuzione di queste sostanze nell’organismo e una quota certamente passa sui figli, una quota passa anche in altri tessuti, nella placenta che vengono poi dismessi con il parto”.