“E’ principio costante in giurisprudenza che il sequestro probatorio riguardante cose pertinenti al reato e, dopo il recente intervento delle Sezioni Unite, anche quello relativo al corpo del reato, deve essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del nesso di pertinenzialità tra le cose sottoposte a vincolo reale e il reato ipotizzato”. E’ uno dei passaggi centrali del ricorso al Tribunale del Riesame di Ferrara col quale l’avvocato Pasquale Longobucco, dello studio Mgtm Avvocati Associati di Ferrara, componente della rete professionale Lpteam, ha ottenuto il dissequestro di due smartphone per il proprio assistito.
I fatti al centro del procedimento si svolgono a Ferrara nell’ottobre del 2023, quando la polizia giudiziaria opera un controllo in un negozio che vende prodotti, principalmente per inalazione, a base di cannabis light. All’esito dell’accertamento, la polizia giudiziaria contesta una presunta violazione della legge sugli stupefacenti, procedendo al sequestro probatorio di modiche quantità di marijuana, hashish, due bilancini di precisione e due smartphone. Proprio sul sequestro dei due smartphone si appunta, in particolare, il ricorso proposto dall’avvocato Longobucco.
Ricorso che insiste sul requisito del nesso di pertinenzialità tra quanto viene sottoposto a sequestro e il reato per il quale si procede.
“Ciò in quanto – prosegue la tesi difensiva, richiamando recenti pronunce della Cassazione – ‘la motivazione del decreto di sequestro assolve all’onere di spiegare all’interessato le ragioni per le quali è necessario sottrarre il bene (corpo di reato o cosa ad esso pertinente) alla sua disponibilità: il fine è ‘l’accertamento dei fatti”, il rapporto di strumentalità rispetto ad esso è connotato in termini di necessità’ (così, in motivazione, Cass. Sez. III, 10.11.2016 – 13.3.2017, n. 11935). Tali motivazioni, si diceva, sono necessariamente richieste anche quando l’oggetto del sequestro è rappresentato dal corpo del reato, posto che è escluso in radice, dalla stessa giurisprudenza, che le finalità probatorie, in questi casi, siano in re ipsa”.
Le argomentazioni della difesa proseguono illustrando come la dimostrazione del nesso di pertinenza non possa essere ridotta a una mera formalità, da risolvere con locuzioni e formule standardizzate. “Sempre secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, pur non esistendo criteri predeterminati in base ai quali valutare se le motivazioni di volta in volta assunte assolvano l’onere motivazionale, di certo non possono ritenersi ammissibili mere formule di stile, contenute in moduli prestampati che, seppure adattati, non consentono alcun riferimento alle concrete e specifiche esigenze probatorie”.
Proseguendo nella propria illustrazione, poi, l’avvocato Longobucco ha ricordato come questi vincoli stringenti prevedano anche un criterio di proporzionalità tra la misura adottata e l’esigenza che viene perseguita, a maggior ragione quando la misura stessa incide in maniera considerevole sulla sfera individuale della persona che si vede il bene oggetto di sequestro sottratto alla propria disponibilità.
“Si rende necessario – prosegue infatti il ricorso – altresì tener conto del requisito della adeguatezza e proporzionalità della misura adottata rispetto all’esigenza perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti e, soprattutto, nel rispetto dei valori costituzionali e sovranazionali della inviolabilità della proprietà privata. Con particolare riferimento al sequestro probatorio delle cose pertinenti al reato, viene sottolineato che l’assenza di una definizione normativa di tale oggetto impone una maggiore precisione e completezza nella motivazione del provvedimento cautelare, che consenta di apprezzare la strumentalità del bene sequestrato rispetto alla condotta criminosa e alla finalità probatoria del sequestro, assolvendo così ad una funzione selettiva. Tale onere di motivazione, come evidenziato anche in una recente decisione (così, Cass. Sez. VI 14.06.2022, dep. 3.10.2022, n. 37349), è tanto più intenso quanto più il vincolo cautelare incida sul “nucleo della sfera individuale” del suo destinatario”.
“Pare a chi scrive, quindi – chiude il ricorso dell’avvocato Longobucco – che il sequestro dei due cellulari sia stato eseguito non per esigenze probatorie sue proprie legate al procedimento e alla notitia criminis per cui si procede, quanto più al fine di eventualmente acquisirne altre! Il sequestro finisce per trasformarsi, così, da mezzo di ricerca della prova a mezzo di ricerca di ulteriori notitiae criminis”.
Argomentazioni che sono state accolte dai giudici del Riesame. “In tal senso – si legge infatti nelle motivazioni del dispositivo che annulla il sequestro limitatamente ai due smartphone – l’orientamento di legittimità ha invero affermato che il decreto di sequestro così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato – deve contenere necessariamente una motivazione anche concisa in ordine al presupposto della finalità di accertamento degli illeciti, che dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. In altri termini affinché il decreto di sequestro sia legittimo, non è sufficiente qualificare i beni sottoposti a vincolo come “corpo del reato'”, rendendosi necessaria l’indicazione dei motivi in ordine alle esigenze probatorie perseguite nel caso di specie. Ancora: il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo del reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione che non si deve limitare ad indicare le disposizioni di legge violate, ma deve comprendere anche l’individuazione della relazione tra la cosa sequestrata ed il delitto ipotizzato, descrivendo gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto”.
“Tanto premesso – chiudono quindi i giudici – nell’impugnato provvedimento non è definita la relazione tra i beni da vincolare (i due telefoni) e l’ipotesi accusatoria, di talché la motivazione dell’impugnato provvedimento “quanto sequestrato costituisce corpo del reato ed è necessario per l’accertamento del reato per cui si procede ed il mantenimento del sequestro è necessario per il compimento di ulteriori indagini” risulta essere apparente, attagliandosi al più implicitamente ai bilancini, la cui strumentalità rispetto alla creazione di dosi in un procedimento ex art. 73 dpr n. 309/90 risulta evidente. Altrettanto non può dirsi rispetto ai telefoni, riguardo ai quali non si rinviene alcun principio di motivazione – oltre a quanto già riportato – circa la relazione tra la res ed il fatto ipotizzato neppure nel provvedimento della p.g. richiamato nel provvedimento del magistrato inquirente. Nel riferito contesto s’impone quindi l’annullamento parziale dell’impugnato decreto, con riguardo ai due telefoni cellulari in sequestro, che per l’effetto devono essere restituiti all’avente diritto”.