La priorità è mantenere la qualità delle acque del fiume Piave, considerata di “stato elevato”, in quel tratto, dalle analisi di Arpav; così che, in virtù del principio di “non peggioramento” e di quello di “precauzione”, la commissione regionale Via avrebbe dovuto dimostrare che un insediamento a forte impatto antropico come una centrale idroelettrica non avrebbe comunque peggiorato la situazione, dal punto di vista ambientale, prima di concedere parere favorevole al progetto. Non sarebbe, però, stato fatto del genere.

E’ sulla base di queste considerazioni che la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza pubblicata lo scorso 31 ottobre ha ribaltato la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, annullando, come richiesto dal ricorso originario del Comitato Bellunese Acqua Bene Comune, Wwf e Associazione pescatori dilettanti e sportivi di Comelico e Sappada, assistiti dall’avvocato Matteo Ceruti di Rovigo, componente della rete professionale Lpteam, la delibera della Giunta regionale del Veneto 1773 del 3 ottobre 2013. Con questa, appunto, veniva autorizzata la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Piave, nel Comune di Sappava, Provincia di Belluno.

Il Tribunale superiore delle Acque pubbliche, in primo grado, aveva rigettato il ricorso, ritenendo che, all’epoca della delibera del 3 ottobre 2013 che autorizzava l’impianto, pur essendo presente il parere contrario dell’Arpav, la valutazione ecologica delle acque come “di stato elevato”, non era ancora stata ufficializzata da un atto normativo, come avvenuto con la delibera di giunta regionale 1950 del 28 ottobre successivo. Tanto era bastato per bocciare, in prima istanza, il ricorso.

Diversa la valutazione delle Sezioni uniti della Cassazione. I giudici hanno infatti ritenuto che il parere contrario di Arpav era un dato del quale la Commissione Via avrebbe dovuto tenere conto, essendo già disponibile ed essendo già state esperite le indagini che avevano portato alla classificazione delle acque come “di stato elevato”. Al di là, quindi, della cristalizzazione di questo dato, già esistente, nella delibera del 28 ottobre successivo, si sarebbe dovuto adottare, in ragione del vincolo di non peggioramento, il principio di “precauzione”, “che impone – scrive la Cassazione – in caso di incertezza scientifica, a scopo di prevenzione, di adottare il comportamento più prudente (in tema di conservazione di habitat, Corte giust. Ue sez. II n. 521 del 14; in generale, Cons. St. sez. V n. 2495 del 2015; Cons. St. sez. IV n 5525 del 2014), la Commissione regionale Via avrebbe dovuto dare dimostrazione, con idonea attività istruttoria, nella fattispecie, non solo mancante, ma contraddetta dagli esiti dell’indagine Arpav, che la costruzione della centrale idroelettrica, nonostante il rilevante intervento antropico, non avrebbe modificato lo stato di “elevato” delle acque”.

Sulla base di questo ragionamento, la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è stata cassata e la concessione annullata.

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