Udienze fondamentali, quelle dell’11 e 18 novembre scorso, di fronte alla Corte d’Assise di Vicenza, nell’ambito del processo per il caso Pfas. Uno dei maggiori processi ambientali a livello nazionale (che ha suscitato anche un certo interesse all’estero), incentrato su un clamoroso caso di avvelenamento di una vasta falda acquifera utilizzata scopi idropotabile, con tutte le possibili ricadute del caso sulla salute della popolazione residente nelle province di Vicenza, Verona e Padova della cosiddetta “zona rossa” di massima contaminazione, decine di migliaia di persone.

Con l’ordinanza che ha deciso le questioni preliminari e ha dato il via libera al dibattimento, infatti, la Corte d’Assise (presidente Antonella Crea; giudice a latere Chiara Cuzzi) ha messo due importanti punti fermi. In primo luogo, ha deciso che i responsabili civili rimarranno nel processo: le società multinazionali controllanti di Miteni (l’azienda la cui attività è al centro del procedimento), infatti, resteranno nel processo e, in caso di condanna, saranno chiamate a rifondere i danni alle parti civili che dovessero essere accertati. Una garanzia forte, per eventuali danneggiati, dal momento che si parla di realtà del calibro di Mitsubishi e Icig.

Non solo: bocciando molte delle eccezioni e delle istanze che erano state presentate dalle difese, la Corte ha anche sancito che la gran parte delle parti civili resterà nel processo, legittimata a chiedere un risarcimento: sindacati, Ulss, ministero dell’ambiente, ministero della Salute, società gestrici degli acquedotti, asscoiazioni di protezione ambientale, e tutte le persone aderenti alle Mamme No Pfas.

Tre gli avvocati della rete professionale Lpteam impegnati nel processo, come difensori di parte civile: Matteo Ceruti, promotore della rete professionale, Cristina Guasti e Marco Casellato, componenti della rete professionale. Assistono, appunto, i residenti che aderiscono alle “Mamme No Pfas”.

 Le parti civili private, come le Mamme No Pfas, sono persone residenti nella zona rossa, che si sono sottoposte al biomonitoraggio, con esiti purtroppo positivi, ossia con il rilevamento di concentrazioni di Pfas nel sangue superiore ai valori di riferimento, in determinati casi con patologie secondo la letteratura correlabili con l’esposizione a Pfas, pure in mancanza, ancora, di studi epidemiologici dedicati.

Gli imputati sono in tutto 15, i vertici delle aziende ritenute coinvolte nell’inquinamento da Pfas. Il dibattimento in corso è il frutto della riunione di due indagini, disposto dal giudice in sede di udienza preliminare.In particolare, il filone principale è quello che riguarda la contaminazione da Pfas a catena lunga (Pfoa e Pfos) che sarebbe avvenuta sino al 2013. Il secondo filone, invece, riguarda la contaminazion da Pfas a catena corta (GenX e C6o4) dal 2013 al 2017. In questo secondo filone sono ipotizzati anche reati fallimentari, ossia relativi all’ipotesi di bancarotta, che vanno quindi ad aggiungersi a quelle di disastro, inquinamento ambientale e avvelenamento delle acque. Quest’ultima fattispecie prevede la competenza della Corte d’Assise, davanti alla quale è appunto aperto il dibattimento. Si torna in aula il 25 novembre con l’inizio dell’istruttoria dibattimentale, ossia con l’esame dei primi testimoni della Procura della Repubblica rappresnetata dai PM De Munari e Blattner.

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