Una sentenza di assoluzione non preventivabile, al sorgere della vicenda, classificata come da “Codice rosso” quella ottenuta, assieme alla collega Mariangela Zuffi del foro di Bologna, al termine del processo con rito abbreviato, dall’avvocato Claudio Maruzzi, di MGTM Avvocati Associati, di Ferrara, promotore della rete professionale Lpteam, di fronte al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Bologna. Assoluzione ottenuta soprattutto grazie agli esiti delle investigazioni difensive e disposta dal giudice ribadendo un concetto fondamentale, ossia la differenza tra il reato di maltrattamenti, del quale era chiamato a rispondere l’imputato e le situazioni che si limitano ai meri, anche aspri, litigi domestici.
Il discrimine, tra i due ambiti, come spiega il giudice in sede di motivazione, è la volontà, nel primo, da parte di chi commette il reato, di sopraffare, annullare e annientare l’altro, oltre che un preciso rapporto di subalternità tra i due, con una chiara individuazione dei ruoli di agente maltrattante e vittima. Al contrario, scontri, anche vivaci, ma che vedono entrambe le parti agire e reagire, vanno considerati in maniera differente e restano estranei al penalmente rilevante.
Al centro della vicenda, una coppia, con due figli, all’epoca dei fatti contestati minorenni, residente tra Bologna e Ferrara. A innescare il procedimento penale, la denuncia – querela presentata dalla donna, che accusava il marito di eccessiva gelosia, di comportamenti umilianti, di rapporti sessuali, se non imposti con la forza, comunque pretesi con insistenza e di imposizioni riguardanti l’accudimento dei figli, nel contempo, conservando l’impiego a tempo pieno per non alimentare sofferenza economica per la famiglia. Una ricostruzione dei fatti che viene poi in un primo tempo confermata dalla presunta vittima anche in sede di Sit.
Una brusca inversione di tendenza avviene tuttavia dopo pochi mesi, quando la donna rimette la querela e rende dichiarazioni alla difesa del compagno, alla presenza del legale della donna, secondo le regole delle investigazioni difensive, che pongono la vicenda sotto una luce differente: ricontestualizza e rivisita l’accaduto nell’alveo delle fisiologiche criticità ed incomprensioni familiari, dapprima raccontate con toni esasperati per effetto della condizione di fragilità emotiva in cui si era trovata in quei momenti, ammettendo altresì talune spigolature caratteriali, che escludevano comunque un ruolo passivo nelle dinamiche relazionali; spiega poi che il rapporto, caratterizzato da momenti molto belli, che vengono elencati, in particolare con riferimento alle ferie estive, aveva avuto frangenti di difficoltà alla luce di problemi oggettivi (nascita dei figli, malattia, ristrutturazione della casa) e sottolinea che il comportamento del marito è nel frattempo cambiato, in meglio, anche grazie ad un trattamento psicologico cui si era affidato (documentato anch’esso dalla difesa, attraverso l’acquisizione di una relazione dallo specialista di riferimento), cui è seguito un percorso trattamentale anche di coppia.
Tutti elementi che trovano riscontro anche nelle chat tra i due, prodotte dalla difesa, dove si evidenzia un dialogo ripetutamente affettuoso, incompatibile con un quadro di maltrattamenti. Elementi, in gran parte raccolti dalla difesa, che il giudice per le udienze preliminari ha valorizzato nelle motivazioni della sentenza di assoluzione.
“Ebbene, la giurisprudenza della Suprema Corte – si legge infatti nelle motivazioni – è ormai pacifica nel ritenere integrato il delitto in parola allorché siano compiuti, anche in un limitato contesto temporale e nonostante periodi pacifici, più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, finalizzati a determinare sofferenze fisiche o morali della vittima (Sez. U. n. 10959 del 29 gennaio 2016; Sez. 6, n. 3377 del 14/12/2022). Ciò che qualifica la condotta come maltrattante è pertanto il fatto che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico) nell’ambito di una relazione affettiva, siano volti a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di libertà ed autodeterminazione, a ferirne l’identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni (Sez. 6,n. 30340 del 08/07/2022). Il giudice è dunque tenuto non solo a valutare i singoli episodi sottoposti alla sua attenzione, ma altresì a valorizzare e descrivere, in modo puntuale, il contesto diseguale di coppia in cui si consuma la violenza, anche psicologica, praticata dall’autore ed il clima di umiliazione che impone alla vittima per lederne la dignità”.
“Ebbene – scrive ancora il giudice – nel caso di specie, alla luce degli elementi probatori in atti, appare evidente come il rapporto tra i coniugi sia – in passato – deteriorato a seguito di eventi particolarmente significativi che, inevitabilmente, incidevano sulla relazione ed andavano ad acuire le difficoltà già esistenti nella coppia. E questo accentuava la distanza emotiva tra le parti, generando sofferenze ed alimentando la conflittualità. Sulla base di tale scenario, emerso anche dalle dichiarazioni della querelante raccolte dalla difesa, le condotte dell’odierno imputato non appaiono idonee ad integrare il delitto in contestazione, difettando quel clima di vessazione morale e fisica – richiesta dalla fattispecie giuridica che distingue il reato di maltrattamenti in famiglia dalle liti familiari (v. Cass. pen., sez. VI, 12/03/2024. n. 17656 “Si consuma il delitto di maltrattamenti famigliari quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza – fisica o psicologica – della coartazione e dell’offesa e quando la sensazione di paura per l’incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei đue, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatorie, rispetto ai diritti sui figli della coppia. Mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista e, soprattutto, nessuno teme l’altro”)”.
“E questo anche alla luce delle stesse dichiarazioni della persona offesa in sede di querela, la quale riferiva di non subire passivamente tali condotte dell’uomo, ma, anzi, di reagire con forza a tali comportamenti e alle parole spesso – offensive dell’imputato. Tali considerazioni sono avvalorate anche dalla lettura dei messaggi whatsapp inviati dai coniugi durante il periodo in questione, dai quali emergono comunque attenzioni, parole ed appellativi affettuosi scambiati reciprocamente”.
“Dunque – chiude il ragionamento del giudice – anche alla luce del ritrovato rapporto coniugale, le parti, a seguito della remissione della denuncia querela, tornavano a vivere insieme ed iniziavano un percorso di psicoterapia di coppia volto a superare le difficoltà e le problematiche precedentemente emerse – appare evidente come le condotte contestate siano riferibili ad un contesto disfunzionale, caratterizzato da mancanza di dialogo ed incapacità alla comprensione degli altrui bisogni”.
Da qui la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, anche grazie alle risultanze degli atti, acquisiti dalla difesa, conservati presso il Servizio minorile.