La recente pronuncia della Cassazione ottenuta dagli avvocati Claudio Maruzzi e Carmelo Marcello nel caso di Vaccolino conferma questo principio.

“E’ fondamentale che nel mondo dell’industria si formi una vera coscienza della sicurezza ambientale e sanitaria, per evitare che il cittadino sia costretto a rivolgersi all’autorità giudiziaria, come hanno avuto il coraggio di fare i nostri assistiti, per rivendicare e tutelare il proprio diritto primario e naturale di vivere in un ambiente salubre, non arrendendosi neppure davanti ad una prima sentenza che negava responsabilità in capo ai dirigenti dell’azienda”. Lo spiegano gli avvocati Claudio Maruzzi e Carmelo Marcello, che hanno seguito una complessa vicenda che ha per teatro Vaccolino, nel Ferrarese.

“I nostri assistiti – spiegano – avevano avuto ragione a credere nella giustizia, proponendo appello, nostro tramite, contro la sentenza del Tribunale di Ferrara che, il 13 ottobre 2014, assolveva Marfisi Bruno, amministratore delegato e Di Loreto Romeo, procuratore speciale della Evomek, già TFC Galileo di Vaccolino, accusati di avere immesso in atmosfera gas-vapori-fumi maleodoranti, atti a molestare le persone residenti nel nucleo abitativo di Vaccolino, posto nelle vicinanze della Strada Provinciale n. 114, sede del complesso industriale, dal gennaio 2011 all’aprile 2013”.

“Il Tribunale aveva assolto gli imputati nonostante che il fatto materiale fosse ‘stato accertato al di là di ogni ragionevole dubbio tramite le prove testimoniali raccolte‘. Nonostante avesse escluso, per questa tipologia di immissioni, la rilevanza dell’ Autorizzazione Integrata Ambientale, individuando il limite di legge nella norma generale di cui all’art. 844 cc, che impone di non superare la “normale tollerabilità”, nel caso di specie pacificamente superata”.

“Nonostante gli odori molesti fossero stati ritenuti dal Tribunale ‘penalmente rilevanti in quanto senza dubbio non tollerabili dalla popolazione”‘. Nonostante tutto ciò, il Tribunale di Ferrara aveva sorprendentemente escluso la responsabilità degli imputati, pur esattamente individuati come soggetti destinatari dell’obbligo giuridico di impedire l’evento di reato per mancato raggiungimento della prova della colpa, avendo l’azienda fatto il possibile per evitare l’inquinamento”.

“La Corte di Appello di Bologna, sezione III, con sentenza del 15 gennaio, riformava la sentenza, condannando agli effetti civili (la Procura non aveva proposto appello contro l’assoluzione) Marfisi Bruno, responsabile di non avere impedito le immissioni moleste (verificate anche dai sottoscritti attraverso sopraluoghi difensivi) che hanno creato molta sofferenza nei nostri assistiti, comprovata anche da consulenza tecnica disposta in ambito di investigazioni difensive. L’imputato era stato inoltre condannato al risarcimento del danno quantificato in euro 3.000 per ciascuna parte civile e alla rifusione delle spese legali”.

“Dalla motivazione della sentenza si comprendeva come la Corte avesse accertato che i correttivi adottati dall’azienda (abbattitori di fumi, utilizzo di anime cave di resina fenolica e, a partire dal 2012, anime del tutto prive di resina) non avevano eliminato gli odori molesti. Al riguardo, è emerso per stessa ammissione di dipendente dell’azienda che, sin dal 2005, le emissioni odorigene erano estremamente reattive per l’olfatto umano e tali da provocare odore intenso, anche se presenti in concentrazioni minime. La società, in sostanza, avrebbe avuto tutte le possibilità di eliminare le immissioni moleste, adottando le migliori tecnologie disponibili nel processo produttivo e la mancata adozione delle stesse era motivato essenzialmente da un problema di costi“.

“La Cassazione annullava con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per risentire il teste Rolfini sulle misure di salvaguardia adottate dell’azienda. La Sezione Seconda della Corte bolognese, in data 15/6/2018, Pres. Zavatti, Relatore Stigliano, dopo la predetta audizione, ha confermato la condanna di Bruno Marfisi, agli effetti civili, per molestie olfattive, confermando il risarcimento dei danni in misura di euro 3000 per ogni parte civile costituita e alla refusione delle spese legali di tutti gradi di giudizio”.

“Dalla motivazione si affermano importanti principi: è stato accertato oltre ogni dubbio che per ben dieci anni, dal 2003 al 2013 gli abitanti nelle vicinanze della fonderia che si trovavano nell’arco di 500 metri hanno patito odori molto fastidiosi, tra cui soprattutto bruciori alla gola e agli occhi e in alcuni casi, nausea e giramenti di testa. Questa situazione si è protratta con varia  intensità in modo particolarmente grave tra il 2011 e il 2013. Non essendoci parametri di legge per le molestie olfattive, vige il criterio della ‘stretta tollerabilità’, quale parametro di legalità dell’emissione ed essendo irrilevante il rispetto dei limiti delle immissioni, parametro ampiamente superato. E’ stato accertato che l’origine degli odori molesti deriva dall’utilizzo nella lavorazione della resina. E’ stato ritenuto provato che l’utilizzo di anime ‘cave’ anziché ‘piene’, che consente di bruciare meno resina e conseguentemente determina minori immissioni moleste, sia iniziato nel 2008 e terminato nel 2012, quando questa tecnologia a minore impatto era conosciuta da tempo e gli accorgimenti adottati dall’azienda, aspiratori dei fumi, erano del tutto insufficienti. I motivi ? minori costi delle anime “piene” rispetto alle anime “cave””.

“Per ben cinque anni la scelta imprenditoriale dell’azienda è stata consapevolmente quella di privilegiare i costi di produzione, rispetto alla salute dei cittadini, che sin dal 2003 avevano evidenziato la gravità della situazione. E ancora oggi, per un dieci per cento si usano ancora le anime piene, per cui la situazione è tutt’altro che risolta. Nella sostanza è stato pertanto smentito l’assunto del Tribunale che la società avrebbe adottato tempestivamente tutti gli accorgimenti tecnici possibili conosciuti e disponibili”.

La Corte di Cassazione, sezione quarta, con sentenza del 12.3.2019, depositata il 25 marzo 2019 ha scritto la parola fine rigettando il ricorso proposto dal Marfisi, confermando la condanna nei suoi confronti, agli effetti civili. Ma la parola fine purtroppo non è stata scritta dall’azienda Evomek, che, dalle lamentele che reiteratamente ci pervengono dai nostri assistiti, continua a produrre diffuse e persistenti emissioni maleodoranti e a rendere la vita impossibile alle famiglie degli stessi”.

Vane sono state le segnalazioni e le doglianze formulate alle autorità preposte e alla stessa azienda, che sembra del tutto indifferente alle ragioni delle persone che hanno la sventura di vivere a ridosso della fonderia. Essi elevano la propria disperazione, nostro tramite, per stigmatizzare il comportamento di chi, pur condannato come inquinatore, continua a farlo, totalmente noncurante della decisione del giudice”.

I nostri assistiti si vedono costretti nuovamente a ricorrere alle opportune sedi penali e amministrative, chiedendo il rispetto della loro salute e dignità umana. Essi chiedono semplicemente di poter vivere in condizioni ambientali normali, dovendo constatare, loro malgrado, che chi persegue unicamente la logica del profitto non si cura minimamente dell’impatto sulla salute di determinate scelte di produzione industriale”.

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