Si avvia alla conclusione, in Tribunale a Rovigo, il processo di primo grado per omicidio colposo plurimo, violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro, reati ambientali e getto pericoloso di cose, incentrato sull’attività dello stabilimento Coimpo – Agribiofert di Ca’ Emo, Adria.

Processo che vede una nutrita schiera di avvocati della rete professionale Lpteam schierati come legali di parte civile: gli avvocati Claudio Maruzzi, di Ferrara, Matteo Ceruti, di Rovigo, Carmelo Marcello, di Ferrara, Cristina Guasti, di Rovigo, Marco Casellato, di Adria.

“Sono passati cinque anni e dieci giorni”. Comincia così, la requisitoria del pubblico ministero Sabrina Duò. Cinque anni e dieci giorni fa, nello stabilimento produttivo sito in località America, Ca’ Emo, Adria, condiviso dalle aziende Coimpo e Agribiofert, quattro persone vennero fulminate da una nube tossica. Morirono nel giro di pochi istanti.

Lo stabilimento si occupava di trattare fanghi da depurazione, o comunque industriali, per poi renderli spandibili, come fertilizzante, sui terreni agricoli. Un trattamento che avveniva anche a base di acido. Qualcosa, quel 22 settembre del 2014, andò storto. Morirono Nicolò Bellato, 28 anni, di Bellombra, impiegato di Coimpo; Paolo Valesella, 53 anni, di Adria, operaio Coimpo; Marco Berti, 47 anni, di Sant’Apollinare, dipendente Coimpo; Giuseppe Baldan, 48 anni, di Campolongo Maggiore.

A giudizio si trovano Gianni Pagnin, 67 anni, di Noventa Padovana; Alessia Pagnin, 42 anni, la figlia, di Noventa Padovana; Glenda Luise, 29 anni, di Adria; Mauro Luise, 57 anni, di Adria, ma residente in Romania, tutti individuati dall’accusa come componenti della compagine societaria di Coimpo; Rossano Stocco, 57 anni, di Villadose, amministratore di Agribiofert; Mario Crepaldi, 63 anni, di Adria, dipendente Coimpo; Michele Fiore, 42 anni, di Ferrara, direttore tecnico di Agribiofert; Alberto Albertini, 60 anni, di Dolo, datore di lavoro dell’autotrasportatore morto.

L’ipotesi principale, comune a tutti gli imputati, è quella di omicidio colposo. Vi sono poi contestazioni in tema di getto pericoloso di cose, per quanto concerne le emissioni, fastidiose, che l’impianto avrebbe generato per le persone residenti nelle vicinanze; contestazioni in merito alla mancanza di tutele per i lavoratori, sul fronte della sicurezza sul lavoro, e violazioni ambientali. Numerose le parti civili costituite: associazioni ambientaliste, privati, Comune di Adria, Provincia di Rovigo, Inail, sindacato Cgil di Rovigo e, ovviamente, le famiglie dei deceduti.

Al termine dell’esame dei testi, il giudice Nicoletta Stefanutti aveva deciso di disporre una consulenza conclusiva, alla luce della natura, estremamente tecnica, del processo, incentrato su questioni di sicurezza sul lavoro e reazioni chimiche. Chiare le conclusioni rassegnate dai due esperti: il processo lavorativo in atto nello stabilimento non sarebbe stato svolto in maniera rispondente alle autorizzazioni rilasciate; autorizzazioni già, in parole povere, secondo gli esperti di “manica larga”, nel senso che, a loro avviso, la Procura avrebbe comunque dovuto normare in maniera più stringente le emissioni: altri impianti simili, infatti, spiegano nella consulenza, in Italia, funzionavano in maniera diversa, ritenuta maggiormente di tutela nei confronti dei dipendenti.

Non è questo l’unico procedimento penale aperto sull’attività dell’impianto di Ca’ Emo. Vi sono, infatti, due processi aperti a Rovigo, a seguito delle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, per spandimenti di fanghi non correttamente trattati sui terreni agricoli del Polesine e uno simile a Firenze, sempre coordinato dalla locale Dda.

Procedimenti, comunque, distinti da quello odierno. Al termine della propria requisitoria, durata oltre 4 ore, il pubblico ministero Sabrina Duò ha domandato la condanna di Mauro Luise e Gianni Pagnin a 10 anni di reclusione; delle rispettive figlie Glenda Luise e Alessia Pagnin a 7 anni; di Rossano Stocco a 6 anni; di Mario Crepaldi a 6 anni e 3 mesi; di Fiore, con assoluzione da alcuni capi di imputazione, a 7 anni; di Alberto Albertini a 1 anno e 6 mesi.

Ora, il prossimo 7 ottobre, parleranno le difese, il 9, infine, la sentenza.

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