Non è assolutamente sufficiente trovare tracce, sotto forma di metaboliti, nell’organismo di una persona controllata alla guida di un veicolo, di una assunzione più o meno recente di sostanze stupefacenti, per potere contestare il reato di guida sotto l’effetto di stupefacenti. E’ necessario, anzi, dimostrare, con un accertamento tecnico, che il soggetto sia effettivamente alterato al momento della guida e che questa alterazione sia dovuta all’assunzione, appunto, di stupefacenti.

E’ una pronuncia di grande importanza, quella ottenuta dall’avvocato Carmelo Marcello, di Ferrara, componente della rete professionale Lpteam, assieme alla collega Giulia Gioachin, pure componente della rete professionale. Una sentenza che, nelle motivazioni, ribadisce una profonda differenza tra l’ipotesi di reato di guida in stato di ebbrezza, per contestare la quale è in effetti sufficiente una misurazione che dimostri un tasso alcolemico oltre la soglia fissata dalla normativa, e quella di guida sotto l’effetto di stupefacenti, per la quale, al contrario, sono necessari requisiti e verifiche molto più stringenti.

La vicenda sulla quale si è pronunciato il tribunale di Ferrara comincia nel 2020, quando l’assistito dell’avvocato Marcello viene fermato dai carabinieri nel corso di un controllo su strada. Lui stesso, ai militari, spiega di essere di ritorno dal Sert, dove gli è stato somministrato metadone. Un controllo della vettura, pur non portando al ritrovamento di stupefacenti, non fuga i sospetti dei militari, che decidono di procedere con il prelievo di liquidi biologici, informando il soggetto della possibilità di farsi assistere da un avvocato. Facoltà della quale decide di non avvalersi.

L’esame, in effetti, individua metaboliti sia del metadone che della cocaina. Da qui l’emissione di un decreto penale di condanna per guida sotto l’effetto di stupefacenti, con condanna a 7500 euro di ammenda. Decreto che viene opposto dal conducente, assistito dall’avvocato Marcello. Quest’ultimo, in particolare, sottolinea l’assoluta mancanza di un legame certo tra lo stato di alterazione supposto dagli operanti, ammesso che vi fosse, e l’assunzione di stupefacenti da parte del conducente, assunzione che non è possibile neppure dire a quando fosse risalente. I metaboliti, infatti, sono rintracciabili nell’organismo anche molto tempo dopo la cessazione degli effetti dell’assunzione. Rilievi che vengono fatti propri anche dal giudice, nelle motivazioni della sentenza di assoluzione piena dei giorni scorsi, arrivata con la formula “perché il fatto non sussiste”. Questo, tra l’altro, ha escluso l’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida.

Un passaggio particolare, soprattutto, rimarca la differenza tra questo reato e quello di guida in stato di ebbrezza. “Per integrare il reato – scrive il giudice – si devono realizzare due condizioni: la guida di un veicolo in stato di alterazione psicofisica; e che tale stato si correlato con l’uso di sostanze psicoattiva (…) Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurazione del reato è necessario che venga dimostrata non solo la concreta assunzione delle sostanze stupefacenti precedente o in occasione della guida del veicolo, ma anche che questa sia stata causa effettiva dell’alterazione psico fisica nel periodo della conduzione del veicolo”.

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