“Ai fini della valutazione di incidenza ambientale rilevano dunque le stesse esigenze di tutela, sia che si tratti di siti già dichiarati di interesse comunitario, sia che si tratti di siti per i quali risulta pendente il procedimento innanzi alla Commissione europea. Poiché non vi è stata la valutazione della proposta a suo tempo trasmessa dallo Stato alla Commissione europea, avente per oggetto il Delta del Po, il primo motivo del ricorso va accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato”.

E’ il passaggio centrale della sentenza del Tar del Lazio – Roma, sez. III – ter,  27/11/2024 n. 21332, che, accogliendo il ricorso proposto dalle associazioni ambientaliste Legambiente nazionale, Lipu, Wwf e Greenpeace, tutte assistite dall’avvocato Matteo Ceruti, promotore della rete professionale Lpteam, ha di fatto bloccato, al momento, l’avvio delle estrazioni di gas metano al largo del Delta del Po. A sostegno del ricorso sono intervenute nel processo sia la Regione Veneto che la Regione Emilia Romagna.

In particolare, i giudici amministrativi hanno annullato, come da richiesta, il Decreto n. 116 del 29 marzo 2021 adottato dal Ministro della Transizione Ecologica di concerto con il Ministro della Cultura, recante giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto di messa in produzione del giacimento denominato “Teodorico” nell’ambito della Concessione di coltivazione presentato da una società multinazionale australiana.

Il progetto riguarda, appunto, la realizzazione di una piattaforma estrattiva dinanzi alle coste venete ed emiliane, in un’area marina particolarmente importante per la vita dei cetacei (i tursiopi) e delle tartarughe Caretta Caretta, allo scopo di avviare una nuova attività di approvvigionamento di gas metano.

Sette i motivi al centro del ricorso dell’avvocato Ceruti. I giudici amministrativi, tuttavia, si sono concentrati sul primo, ritenendo sufficiente questo per procedere all’annullamento dell’atto impugnato, restando assorbite le altre censure.

In questo primo motivo di ricorso, l’avvocato Ceruti aveva sottolineato come il progetto andasse a interferire col SIC (ossia sito di interesse comunitario) marino dell’Adriatico settentrionale – Delta del Po la cui procedura di istituzione era già in itinere al momento in cui è stato emessa la valutazione di impatto ambientale favorevole sul progetto di estrazione. Una tesi alla quale i giudici amministrativi hanno ritenuto di aderire, laddove, invece, il Ministero dell’ambiente (che pure aveva proposto il SIC) e la società controinteressata avevano argomentato sostenendo che la valutazione avrebbe potuto non tenere conto di un sito il cui riconoscimento ufficiale non era ancora avvenuto.

“Con il primo motivo – riassumono infatti i giudici amministrativi – è lamentata la violazione dell’ art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, dell’art. 6 della direttiva 92/43/CEE “Habitat'”, nonché la presenza di profili di eccesso di potere per contraddizione, illogicità, carenza di istruttoria e di motivazione, poiché:

– il Delta del Po è una zona umida riconosciuta nel 2015 dall’UNESCO come riserva di biosfera del programma m.a.b. (Man and the Biosphere)’, per migliorare il rapporto tra uomo e ambiente e ridurre la perdita di biodiversità:

– il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (cui è subentrato il Ministero della transizione ecologica, oggi Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) aveva a suo tempo proposto alla Regione Veneto e alla Regione Emilia-Romagna l’individuazione di un ‘sito marino di importanza comunitaria’ a tutela di specie protette davanti al Delta del Po;

– le citate Regioni hanno formulato al Ministero le loro proposte;

il sito marino di importanza comunitario, avente una superficie complessiva di circa 536 kmq, è stato individuato con la delibera della giunta regionale del Veneto n. 1135 del 2020 (che ne ha affidato la gestione, nella parte veneta, all’Ente Parco Delta del Po) e con la delibera della giunta della Regione Emilia-Romagna n. 1572 del 2020, 225 kmq per la parte veneta (codice IT3270025) e 311 kmq per la parte emiliana (codice IT4060018).

Ad avviso delle associazioni ricorrenti, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto valutare gli interessi in conflitto, coordinandosi con I’istituzione del sito marino (comunicata a dicembre 2020 alla Commissione Europea), di cui peraltro era stata data notizia già nel corso del procedimento, poiché era stata consentita una trivellazione a meno di un chilometro dai confini di quella stessa area, posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa”.

Tesi alla quale i giudici dimostrano poi di aderire, nel prosieguo della sentenza.

“In punto di fatto – prosegue infatti la sentenza – va osservato che il provvedimento impugnato ha consentito una trivellazione a meno di un chilometro dai confini di un’area del Delta del Po, posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa e qualificabile come sito marino di interesse comunitario.

 A seguito del riconoscimento nel 2015 da parte dell’UNESCO della zona umida del Delta del Po, come riserva di biosfera del programma ‘Man and the Biosphere’, a suo tempo Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (cui è subentrato il Ministero della transizione ecologica, oggi Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) ha proposto alla Regione Veneto e alla Regione Emilia-Romagna I’individuazione del ‘sito marino di importanza comunitaria’, tutela delle specie protette.

Come sopra rilevato, il sito marino è stato individuato con la delibera della giunta regionale del Veneto n. 1135 del 2020 e con delibera della giunta della Regione Emilia Romagna n. 1572 del 2020, per una superficie totale di 536 kmq.

 A seguito di tale istituzione, è divenuto applicabile 1′ art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 (attuativo della direttiva UE 92/43 Habitat). Il comma 3 dell’art. 5 ha previsto che “i proponenti di interventi (…) presentano, fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare (…) i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi”.

II suo comma 4 ha, inoltre, previsto che “per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale, che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, come definiti dal presente regolamento, la valutazione di incidenza è ricompresa nell’ambito della predetta procedura che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati. A tale fine lo studio di impatto ambientale predisposto dal proponente deve contenere gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal presente regolamento (…) E’ decisivo considerare che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva già trasmesso la proposta di istituzione del sito marino di interesse comunitario ben prima dell’emanazione dell’impugnato decreto, adottato di concerto con il Ministero della cultura”.

Restano comunque aperti gli altri punti sollevati nel ricorso, sui quali non vi è stata pronuncia, proprio perché è stata ritenuta assorbente, in questa fase, la prima argomentazione.

“Col secondo motivo – si legge negli atti – è stata lamentata la violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 e della direttiva Habitat 92/43/CEE nonché la presenza di profili di eccesso di potere, poiché l’atto impugnato – nel riguardare un giacimento posto nell’area marina protetta collocata all’interno delle dodici miglia nautiche dalla costa – non ha accertato che le trivellazioni non avessero effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito.

Con il terzo motivo è lamentata la violazione dell’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, oltre la sussistenza di profili di eccesso di potere, in relazione al divieto di effettuare ulteriori coltivazioni di idrocarburi all’interno del perimetro delle aree marine e costiere comunque protette a fini ambientali, divieto rilevante anche nelle zone di mare situate entro 12 miglia dalla linea di costa.

Col quarto motivo, è lamentata la violazione degli articoli 5 e 8 del d.P.R. n. 357 del 1997 e degli articoli 6 e 12 della direttiva Habitat 92/43/CEE, delle disposizioni richiamate col terzo motivo, nonché la presenza di altri profili di eccesso di potere, poiché non sarebbe stato adeguatamente valutato l’impatto – anche acustico – sulle specie della fauna marina, in particolare sui cetacei e sulle tartarughe marine, in termini di disturbo e stress che comporterebbero il loro allontanamento, dal momento che le indagini istruttorie sarebbero carenti e risalenti nel tempo, come si deduce da alcune relazioni redatte a cura delle Amministrazioni ricorrenti.

Con il quinto ed il sesto motivo, è lamentata la violazione dell’art. 3 ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 sul principio di precauzione, nonché la presenza di profili di eccesso di potere, in relazione al disatteso parere della Commissione i.p.p.c. sul rischio di subsidenza, nonché la violazione degli articoli 5 e 29 ter del medesimo decreto legislativo, ed altri profili di eccesso di potere, poiché non sarebbe stato adeguatamente valutato l’impatto del progetto sull’attività di pesca e sarebbero manifestamente irragionevoli le prescrizioni (riservate alla fase esecutiva) nn. 3, 4, 5, 7, 8 e 10, che la Commissione tecnica v.i.a. ha inserito nel suo parere favorevole, con le quali si sarebbe resa manifesta la mancata valutazione dei rischi nel tempo, connessi ad incidenti riguardanti le condotte sottomarine, in uno con quelli connessi ad incidenti sulla piattaforma o in fase di perforazione dei pozzi o di coltivazione del giacimento.

Col settimo motivo, è lamentata la violazione dell’art. 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché la presenza di eccesso di potere, poiché sarebbe mancata la valutazione degli effetti dello sfruttamento del giacimento nella interazione terra-mare, nonché degli effetti climatici e degli obiettivi di contenimento dei gas climalteranti”.

Per consultare la sentenza completa, clicca qui.

 

 

 

 

 

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