Una discussione impressionante e, a tratti, toccante, quella fatta dall’avvocato Mattero Ceruti, che prende parte al maxi processo sul caso Coimpo, come avvocato di parte civile, assieme a numerosi altri colleghi della rete professionale Lpteam: Claudio Maruzzi, Carmelo Marcello, Cristina Guasti, Marco Casellato.

Sarebbero bastati poco meno di 600 euro per salvare quattro persone, evitando una strage. Per l’esattezza, 594 euro e 33 centesimi – ha spiegato, di fronte al giudice Nicoletta Stefanutti del Tribunale di Rovigo. Tanto costa su Amazon un rilevatore di emissioni, che, quel 22 settembre, avrebbe potuto dare l’allarme per tempo, evitando quattro morti”.

Al centro del processo, la strage avvenuta il 22 settembre del 2014 allo stabilimento Coimpo Agribiofert che si trova in località America, Ca’ Emo, Adria. Impianto che si occupava del trattamento di fanghi, per esempio da depurazione, con acidi, per renderli utilizzabili sui campi agricoli come fertilizzante.

Quel 22 settembre, secondo le attuali ricostruzioni, durante lo sversamento di acido solforico in una vasca di fanghi, si originò una nube tossica che uccise quattro persone: Nicolò Bellato, 28 anni, di Bellombra, impiegato di Coimpo; Paolo Valesella, 53 anni, di Adria, operaio Coimpo; Marco Berti, 47 anni, di Sant’Apollinare, dipendente Coimpo; Giuseppe Baldan, 48 anni, di Campolongo Maggiore. Lavoratori dello stabilimento i primi tre, conducente della cisterna di acido in corso di sversamento l’ultimo.

Il processo è aperto nei confronti di otto imputati, con contestati, a vario titolo e con differenti posizioni ipotizzate, i reati di omicidio colposo, di getto pericoloso di cose, per le emissioni dell’impianto, reati ambientali e omissioni di tutele per i lavoratori. In tutto, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Sabrina Duò ha chiesto condanne per oltre 50 anni complessivi.

A giudizio si trovano Gianni Pagnin, 67 anni, di Noventa Padovana; Alessia Pagnin, 42 anni, la figlia, di Noventa Padovana; Glenda Luise, 29 anni, di Adria; Mauro Luise, 57 anni, di Adria, il padre, ma residente in Romania, tutti individuati dall’accusa come componenti della compagine societaria di Coimpo; Rossano Stocco, 57 anni, di Villadose, amministratore di Agribiofert; Mario Crepaldi, 63 anni, di Adria, dipendente Coimpo; Michele Fiore, 42 anni, di Ferrara, direttore tecnico di Agribiofert; Alberto Albertini, 60 anni, di Dolo, datore di lavoro dell’autotrasportatore morto, Baldan.

Chiudendo la propria discussione, all’udienza scorsa il pubblico ministero aveva chiesto per Mauro Luise e Gianni Pagnin la condanna a 10 anni di reclusione; per le rispettive figlie Glenda Luise e Alessia Pagnin a 7 anni; per Rossano Stocco a 6 anni; per Mario Crepaldi a 6 anni e 3 mesi; per Fiore, a 7 anni; per Alberto Albertini a 1 anno e 6 mesi.

Ceruti, nel corso della requisitoria ha battuto a lungo su un punto molto chiaro: “Non è stato un fatto imprevedibile – ha detto, riferendosi alla strage – Bensì, un episodio quasi annunciato”. Lo stesso pubblico ministero aveva parlato chiaramente di “cronaca di una morte annunciata”, nel corso della requisitoria.

Tanto i lavoratori, quanto i terzisti, quanto gli autotrasportatori – ha ricordato Ceruti – si sarebbero lamentati a varie riprese degli odori asfissianti provenienti dall’impianto. Alcuni si sarebbero sentita bruciare persino la faccia.

Non solo – ha proseguito Ceruti – in due occasioni, l’impianto di controllo dello stabilimento avrebbe rivelato, nel 2012 e pochi giorni prima della tragedia, forti concentrazioni di acido e di ammoniaca.

Nonostante questo, non sarebbero state prese precauzioni. E, soprattutto, ha ricordato, non ci si dotò mai di un rilevatore che avrebbe consentito di segnalare quella che viene definita la “macro emissione” del settembre del 2014. La avrebbe segnalata per tempo. In altri termini, avrebbe consentito a tutti di allontanarsi, non sarebbe morto nessuno. Sarebbe bastato spendere quei 594,33 euro, ha ripetuto Ceruti.

“Non lo fecero – ha chiuso l’avvocato – non tanto per una questione di soldi, ma perché farlo avrebbe significato ammettere che c’era un problema di emissioni”.

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