Una causa civile, di fronte al Tribunale di Roma, per fare sì che venga intimato a una primaria società del settore Oil & Gas di modificare le proprie politiche industriali, orientandole verso il rispetto del contenimento delle emissioni, per prevenire il cambiamento climatico e gli eventi disastrosi ad esso connessi.

Un procedimento pilota – il primo caso di “climate litigation” intentato nei confronti di una società in Italia, uno dei primissimi in Europa – che sta avendo risonanza internazionale, quello portato avanti da tre avvocati, due dei quali sono componenti della rete professionale Lpteam: Matteo Ceruti e Marco Casellato, entrambi di Rovigo, rispettivamente promotore e componente della rete professionale; a completare il team di legali, l’avvocato Alessandro Gariglio.

Tutelano, rispettivamente, l’associazione Greenpeace, l’associazione Recommon Aps e una serie di privati, appartenenti a varie aree geografiche, Polesine incluso, che hanno sperimentato gli effetti del cambiamento climatico e tutti intenzionati a chiedere un risarcimento alla società, per la propria politica in tema di contenimento – o non contenimento – delle emissioni in atmosfera. Un risarcimento, però, non monetario, ma sotto forma di una prescrizione che, appunto, imponga al colosso dell’energia diverse politiche aziendali, che siano maggiormente rispettose degli standard nazionali e internazionali in termini di emissioni.

Uno dei primi procedimenti di questo tipo a livello europeo, la cui natura viene ben spiegata dagli avvocati firmatari nell’introduzione.

La presente causa rientra nell’ambito della c.d. “climate litigation”, azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e di limitazione del riscaldamento globale.

Gli attori sono associazioni ambientaliste, di levatura nazionale e internazionale, e privati residenti in aree del Paese particolarmente esposte ai cambiamenti climatici, tutti soggetti che, direttamente o per la frustrazione del loro oggetto sociale e delle loro attività prevalenti, da un lato, e delle loro proprietà e diritti umani fondamentali, dall’altro, subiscono le conseguenze delle condotte della società sul cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico antropogenico è “la più grande sfida per i diritti umani del 21° secolo”. Esso colpisce negativamente una serie di – se non tutti – i diritti umani. Gli impatti universalmente e scientificamente riconosciuti del cambiamento climatico, compreso il degrado dell’ambiente, sono la privazione di risorse, la prevalenza di malattie potenzialmente letali, la fame e la malnutrizione diffuse, nonché l’estrema povertà che impedisce agli individui di vivere una vita dignitosa. Alcuni dei diritti individuali colpiti negativamente sono i diritti alla vita, al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e alla salute. Vengono, inoltre, violati i diritti collettivi, ivi compresi i diritti alla sicurezza alimentare,   sviluppo e alla crescita economica, all’autodeterminazione, alla conservazione della cultura, all’uguaglianza e alla non discriminazione.

Gli attori privati, come ogni essere vivente, stanno già subendo e ancor più subiranno in futuro, le conseguenze del riscaldamento climatico sintetizzabili in un peggioramento della qualità della vita, fino alla difficoltà, se non all’impossibilità, di vivere nei propri luoghi di residenza, il proliferare di malattie e tutti gli ulteriori danni, patrimoniali e non patrimoniali che gli eventi connessi al cambiamento climatico e universalmente riconosciuti ed indicati negli IPCC arrecheranno.

 

A venire citati in giudizio sono, oltre alla società dell’Oil & Gas, anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa depositi e prestiti.

Proprio alla luce della sua novità, l’atto prosegue inquadrando, sempre in premessa, quelle che sono le responsabilità che vengono attribuite alla società e in base a quali principi e normative queste vengano ipotizzate.

 

“La responsabilità su tali cambiamenti emerge con tutta evidenza dai risultati della c.d. “attribution science”, cioè quella scienza che consente di ricondurre ad un preciso soggetto un quantitativo determinato di emissioni non conformi con quelli che sono i valori fissati a livello internazionale, in particolare è possibile evincere, tra le altre cose su cui ci si soffermerà in seguito, il quantitativo di emissioni, accertando che questa è responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell’intera Italia, essendo così uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto. Anche in ragione del fatto che i dati che utilizzati sono stati elaborati dalle stesse compagnie petrolifere, inclusa questa società, che, pertanto, non possono non esserne a conoscenza. Nemmeno l’ipotetica obiezione che non è solo questa società la responsabile la potrebbe esonerare dalle sue responsabilità, per le ragioni giuridiche che saranno ampiamente trattate nella seconda parte del presente atto di citazione.

Ma non solo.

Nella Parte I del presente atto si illustrerà e quindi si dimostrerà in giudizio anche come le compagnie petrolifere, e questa società in particolare, siano consapevoli da oltre cinquant’anni dell’impatto che le loro attività hanno sul clima, tanto da mettere in atto strategie di lobby e di c.d. “greenwashing” per mascherare le loro responsabilità.

L’interrelazione tra uomo e ambiente è il perno attorno a cui si è sviluppata la riflessione giuridica finalizzata a delinearne i relativi contorni ed a trasporre le enunciazioni degli strumenti internazionali che, a partire dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, hanno fatto rientrare la tutela ambientale all’interno della cornice dei diritti umani. Ciò anche grazie al lavoro fatto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha sempre più esteso il concetto di tutela dell’ambiente fino a giungere a parlare dell’esistenza “del diritto umano ad un ambiente salubre”.

Come si argomenterà nella Parte II del presente atto, le condotte che causano il cambiamento climatico, con tutto ciò che ne consegue in termini di rischi per l’ambiente e di conseguenze per la salute, violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana, sia, attraverso essa, da norme internazionali ed accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende, in particolar modo per quelle che dichiarano espressamente di aderirvi e di sottostarvi”.

 

Dopo il compiuto inquadramento normativo della fattispecie, estremamente complessa, si passa quindi ad illustrare i danni che sono stati patiti, secondo questa impostazione, a causa della politica industriali sia dai privati che dalle società a nome della quali è stato avviato il procedimento di fronte al Tribunale Civile di Roma. Si parte dai privati.

Questi, come detto, sono residenti in varie zone del Paese che stanno sperimentando cambiamenti climatici che hanno già modificato il loro stile di vita, in negativo. Si va dalle Dolomiti, al Polesine, al Piemonte, a Venezia, alla Campania.

 

Di qui il diritto degli attori di ottenere il ristoro delle suddette voci di danno, conseguenti alla violazione dei diritti umani realizzata dalle convenute con le condotte qui contestate.

In particolare (…), residente a Senigallia, ha già scontato sulla sua pelle danni da cambiamento climatico essendo stato una delle vittime dell’alluvione del 15 settembre 2022 quando la sua abitazione è stata allagata con la conseguente perdita di documenti e altri beni. Il Lion teme, in particolare, che possa sempre più aggravarsi la situazione di dissesto idrogeologico ed il verificarsi di ulteriori eventi estremi che sempre più metteranno a rischio i suoi beni materiali e l’incolumità sua e dei suoi cari.

Queste fondate preoccupazioni sono comuni a tutti gli attori, anche quelli che non sono ancora stati vittime di eventi estremi, ma che già percepiscono alcuni degli effetti del cambiamento climatico in atto.

(…), memori del gravissimo evento estremo accaduto sulle Dolomiti (l’uragano Vaia del 2018), temono che possano ripetersi situazioni simili, con rischio non solo per l’ambiente, ma per la propria incolumità. Inoltre, sono anche preoccupate per lo scioglimento dei ghiacciai e per la grave situazione di siccità in cui versa la montagna, temendo perciò sempre più la mancanza di approvvigionamento idrico, nonché il verificarsi di incendi boschivi.

(…), tutti residenti nel Polesine, manifestano preoccupazioni e già subiscono danni simili, tra cui le ondate di calore, gli effetti della risalita del cuneo salino, la subsidenza e la siccità, con la conseguente perdita di colture e, quindi, di valore delle proprietà sino al rischio di dover abbandonare i propri luoghi di residenza perché non più abitabili in un prossimo futuro, con la conseguente perdita di affetti e di valore economico dei beni.

Particolare la situazione di (…), residente a Venezia, il quale vive direttamente gli effetti dell’innalzamento dei mari. In particolare, come tutti i veneziani, è consapevole che senza l’impiego del c.d. Mose durante i sempre più frequenti eventi di “acqua alta” i piani terreni delle abitazioni sarebbero pressoché inutilizzabili, se non addirittura inagibili; d’altro canto, però, l’utilizzo del Mose ha due effetti profondamente negativi: il primo di natura economica perché ogni utilizzo costa diverse centinaia di migliaia di euro che potrebbero essere destinati ad altro fine; in secondo luogo, perché bloccare la circolazione delle acque comporta un rischio per la loro salubrità, nonché per l’ecosistema marino della laguna, già fortemente compromesso, anche da eventi atmosferici estremi come trombe d’aria che hanno arrecato danni a cose e persone, con il conseguente timore per l’incolumità dei propri cari e propria.

Sovrapponibili sono anche le preoccupazioni che investono le attrici (…). Costoro sono residenti in Piemonte, nella zona della pianura padana, dove l’allarme per lo stato di salute dell’aria e per le ondate di calore è costante, cui si è aggiunta la siccità e la situazione di carenza di risorse idriche, con conseguente ricorso da ultimo anche alle autobotti per rifornire alcuni centri abitati. A ciò si aggiunga che la costante siccità e l’innalzamento delle temperature in una situazione di gravissima presenza di particolato atmosferico crea un’inevitabile preoccupazione negli attori per il futuro e per la salute proprio e dei propri cari, essendo scientificamente acclarato che provochi problemi respiratori, allergici, cutanei, ecc.

In parte queste preoccupazioni sono le stesse di (…), la quale, residente a Napoli, ha recentemente vissuto da vicino le preoccupazioni per i disastri conseguenti delle piogge estreme (a partire da quelli nella vicina Ischia nel novembre 2022), oltre che i grandi periodi di siccità, con l’inevitabile insorgere di preoccupazione per il proprio futuro a partire dalla paura di dover abbandonare la propria abitazione e, quindi, di dover ricominciare la propria vita in un altro luogo. Nel caso di (…) la quale risiede ad Acireale in Sicilia, eventi climatici estremi, quali alluvioni e trombe d’aria, hanno già generato danni sull’abitazione di residenza, nonché limitazioni  ricorrenti alla frequenza scolastica, da cui l’inevitabile insorgere di preoccupazione per i possibili  impatti futuri collegati a tali fenomeni estremi, inclusi la siccità e la diffusione sempre maggiore di incendi.

 

E, quindi, le motivazioni che stanno alla base delle richieste risarcitorie avanzate dalle società.

Per quanto riguarda invece i danni il cui ristoro si domanda da parte delle altre due attrici, le associazioni Greenpeace ONLUS e ReCommon APS, vale anzitutto la pena ricordare come ciascuna di esse persegua un precipuo scopo statutario, rappresentato dalla difesa dell’ambiente, del clima, nonché delle risorse naturali e delle comunità locali (riconosciuti come diritti umani dai ricordati artt. 2 e 8 della CEDU), nei termini meglio esplicitati ai §§ 20 e ss.

Pertanto i danni patrimoniali e non patrimoniali di cui si chiede risarcimento in forma specifica da parte degli attori prefati non sono null’altro che i danni da lesione dei predetti scopi statutari nonché i pregiudizi delle risorse finanziarie e dei beni messi in campo e consumati da parte dalle stesse associazioni, al fine di contrastare le attività produttive – ex multis – di danno ambientale/climatico compiute dalla società nel corso degli anni.

In altri termini, le attività dolose e colpose degli odierni convenuti, pure produttive di danno ambientale, hanno provocato distinti danni patrimoniali – e non – in capo ai citati “attori collettivi”; danni correlati eziologicamente alle predette attività avverse ed alla necessità, dunque, per i medesimi attori, quali associazioni statutariamente preposte alla tutela dell’ambiente e del clima, degli ecosistemi, delle risorse naturali e delle comunità locali, di porre in essere attività, iniziative e campagne, chiaramente onerose, mirate a contrastare e contenere, per quanto possibile, i danni ambientali cagionati dalle attività delle convenute.

In definitiva, in termini di giudizio controfattuale, qualora la società non avesse posto in essere le attività lesive dell’ambiente in esame nel presente atto, i suddetti attori sicuramente non avrebbero patito i danni non patrimoniali agli scopi statutari e i danni patrimoniali alle relative risorse finanziarie ed economiche, ovvero gli esborsi che, invece, hanno affrontato nel corso degli ultimi anni, in quanto impegnati gli stessi attori in attività onerose – sia umanamente sia finanziariamente – tese al contrasto di fatti produttivi di danni ambientali posti in essere dai convenuti”.

 

Come detto, la richiesta risarcitoria avanzata al Tribunale non ha natura economica, ma, piuttosto, è volta ad ottenere tutela, sotto forma dell’imposizione di modificare le proprie politiche industriali.

“L’articolo 2058 c.c. prevede che “il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica qualora sia in tutto o in parte possibile”. Nel caso di specie gli attori sono, in modo diverso le persone fisiche dalle associazioni, tutti danneggiati, ex art. 2043 c.c. dalle condotte illecite della società. A tal proposito, dunque, gli attori possono avanzare due tipi di domande: il risarcimento per equivalente e il risarcimento in forma specifica.

Orbene, nel caso di specie, in via principale, si ritiene che la richiesta più corretta e che possa garantire più un ristoro per il passato, ma soprattutto una garanzia per il futuro, sia la reintegrazione in forma specifica dell’articolo 2058 c.c.. Ciò a cui si mira, infatti, è che il Tribunale imponga di cessare le condotte illecite attraverso una modificazione del piano industriale che tenga conto degli aspetti di diritto, anche sovranazionale, deputati al raggiungimento degli obiettivi di Parigi e alla cessazione dei reati ambientali”.

 

In concreto, quindi, ecco il petitum invocato col ricorso al Tribunale, col quale si chiede che questo voglia:

 

1) accertare, se del caso previa CTU, e dichiarare che la società, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti SPA, a seguito delle emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, provenienti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI, non hanno ottemperato e non stanno ottemperando al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionalmente riconosciuti di cui la società si sarebbe dovuta dotare in linea con l’Accordo di Parigi e gli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, in violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU;

2) per l’effetto, accertare e dichiarare che la società, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti SPA sono solidalmente responsabili, per violazione del combinato disposto degli artt. 2 e 8 della CEDU e degli artt. 2043, 2050 e 2051 c.c., per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi dagli attori per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico che essi hanno concorso a cagionare, ivi compresi:

  1. a) nei confronti degli attori-persone fisiche, i danni ai beni patrimoniali di loro proprietà e i danni non patrimoniali ai beni della salute, dell’incolumità e i danni da metus, nonché per aver messo, e aver continuato a mettere, in pericolo gli stessi beni ed interessi;
  2. b) nei confronti degli attori Greenpeace e ReCommon, i danni patrimoniali costituiti dalle risorse economiche e finanziarie messe in campo per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e i danni non patrimoniali conseguenti alla frustrazione dei rispettivi scopi statutari, nonché per aver messo, e aver continuato a mettere, in pericolo gli stessi beni ed interessi;

3)  conseguentemente, condannare la società, ex art. 2058 c.c. ed ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.,  a limitare il volume annuo aggregato di tutte le emissioni di CO2 in atmosfera (Ambito 1, 2 e 3) a causa delle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da essa in misura tale che tale volume di emissioni venga ridotto di almeno il 45% a fine 2030 rispetto ai livelli del 2020, ovvero in altra misura, accertanda in corso di causa, che garantisca il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, stabilendo fin d’ora, in caso di inottemperanza, la condanna al pagamento della somma che il Giudice riterrà equa per violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento;

4) condannare altresì il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., ex art. 2058 c.c. ed ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., ad adottare una policy operativa che definisca e monitori gli obiettivi climatici di cui la società dovrebbe dotarsi in linea con l’Accordo di Parigi e gli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, nei termini indicati al predetto punto 3), stabilendo fin d’ora, in caso di inottemperanza, la condanna dei convenuti al pagamento della somma che il Giudice riterrà equa per violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento;

5) in via subordinata, per l’effetto condannare i convenuti all’adozione di ogni necessaria iniziativa che garantisca il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi.

In ogni caso con vittoria di spese, diritti e onorari di lite.

Della vicenda e del suo carattere profondamente innovativo, si è occupata anche la stampa internazionale. Cliccando qui, si può accedere all’articolo del prestigioso quotidiano inglese The Guardian.

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