E’ l’avvocato Pasquale Longobucco, presidente della Camera penale di Ferrara, dello studio legale Mgtm Avvocati associati di Ferrara, componente della rete professionale Lpteam, a seguire un processo relativo a uno dei fatti di cronaca recenti che hanno avuto maggiore risalto nel capoluogo estense. L’omicidio contestato al nipote, oggi 25enne, ai danni della nonna, avvenuto il 20 novembre del 2019, proprio a Ferrara.
E’ il capo di imputazione, in base al quale è stato disposto il rinvio a giudizio il 3 dicembre 2020, a riepilogare la ricostruzione accusatoria della Procura, che vedeva il giovane:
“Imputato
del “Delitto p. e p. dagli artt. 575, 577 n. 1, 61 n. 5 c.p., perché cagionava,
con violenza, la morte della nonna; con condotta consistita nel percuotere la
vittima con pugni su tutto il corpo (in particolare, al torace e al capo),
nel gettarla a terra e nello scaraventare reiteratamente il capo, con
particolare forza ed energia, verso le parti metalliche e lo sterzo
dell’autovettura; cagionando cosi il decesso della persona offesa; decesso
determinato da “insufficienza miocardica acuta, produttiva di edema
polmonare acuto, in soggetto cronicamente affetto da cardiomiopatia ipertrofico-dilatativa,
coronaropatia trivasale e miocardiosclerosi, indotta e mantenuta da condizioni
dis-stressogene secondarie ad azione traumatica etero lesiva, perpetrata
mediante applicazione reiterata di mezzi contundenti prevalentemente al capo”;
essendo la morte una conseguenza altamente probabile della condotta posta in
essere, date le condizioni di salute già precarie della vittima, le modalità
dell’aggressione, o, in ogni caso, avendo accettato il rischio del decesso
della persona offesa.
Con l’aggravante di cui all’art. 577 n. 1 c.p., per avere agito in danno
dell’ascendente.
Con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 c.p., per aver agito
profittando di circostanze di persona tali da ostacolare la privata difesa,
essendo stato il reato commesso in danno di persona anziana d’età.
In Ferrara, il 20.11.2019”.
La sentenza di primo grado è stata pronunciata lo scorso 20 gennaio 2022 dalla Corte d’Assise di Ferrara e ha visto i giudici condannare l’imputato alla pena di 16 anni di reclusione. Una condanna arrivata, però, non per l’ipotesi di reato di omicidio volontario, così come contestata dalla Procura, bensì per quella di omicidio preterintenzionale, ritenuta l’imputazione corretta dalla Corte d’Assise.
Un punto fondamentale del dibattimento, con la difesa che ha sostenuto questa tesi avanzando importanti argomentazioni, recepite dalla Corte d’Assise, come si evince dalle motivazioni della sentenza di primo grado.
Buona parte delle motivazioni, infatti, riguarda proprio questo tema, centrale nel procedimento, soprattutto in termini di possibilità di contestare all’imputato il dolo eventuale. La stessa accusa, infatti, riteneva che il giovane non volesse uccidere la nonna, ma abbia accettato consapevolmente il rischio della sua morte, al momento di intraprendere l’azione che l’avrebbe causata, ossia la aggressione.
“La
pubblica accusa – si legge infatti
nelle motivazioni – ha escluso il dolo diretto omicidiario,
reputando che l’imputato non abbia agito allo scopo di causare la morte della
nonna, ritenendo provata però la sussistenza del dolo eventuale,
ravvisando nella condotta dell’agente non la mera previsione dell’evento (né, a
maggior ragione, la sua sola prevedibilità) ma anche la sua accettazione e
la scelta dell’imputato di agire comunque, “costi quel che costi”,
pur di sfogare la sua rabbia, indotta plausibilmente da un comportamento
dell’ascendente, oppositivo alle sue richieste o comunque da lui percepito
frustrante le sue aspettative.
Il dolo eventuale (sulla scorta delle risultanze dibattimentale unica forma di
dolo ipotizzabile nel caso in esame) presuppone come si è detto che l’agente si
sia rappresentato e abbia voluto, nella più lieve forma dell’accettazione,
l’evento realizzato (in questo caso, la morte).
Gli elementi indicativi di tale atteggiamento della volontà sarebbero, per il
magistrato requirente, la durata dell’aggressione, la pluralità di colpi
inferti, l’intensità degli stessi, valutando che il perito ha riferito di colpi
forti, ancorché non idonei a causare fratture. Al contrario la Difesa ha
evidenziato come le risultanze autoptiche portassero ad escludere l’esistenza
di una dolosa volizione ma soprattutto come il forte rapporto simbiotico
esistente fra la nonna e l’imputato portasse ad escludere che questi potesse
avere agito prevedendo la possibilità del decesso dell’anziana, perché in tal
caso avrebbe certamente desistito”.
I giudici hanno ritenuto, al momento di pronunciarsi, di approfondire la questione del dolo eventuale.
“Al fine di meglio definire il concetto di dolo eventuale, deve richiamarsi la sentenza delle Sezioni Unite sul caso ThyssernKrupp, che ha affermato come il dolo eventuale non consista nella mera rappresentazione dell’evento (in questo caso, la morte della vittima a seguito delle percosse), né nella formula della sua accettazione, perché ciò che deve essere dimostrato è la chiara, concreta presa d’atto, da parte dell’agente, del rischio di verificazione dell’evento, nonché una scelta razionale e consapevole di agire comunque, anche a costo di provocarlo. Dovrà quindi essere provata la piena adesione psichica dell’agente all’evento-morte. Per la configurabilità del dolo eventuale occorre dunque, come chiarito dalla Corte nella sua massima espressione nomofilattica, la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta (ne caso in esame la morte come conseguenza diretta dell’aggressione) aderendo psicologicamente ad essa”.
Un requisito, questa piena presa d’atto, unita all’accettazione e alla volontà di agire comunque, che mancherebbe nel caso di specie.
“Non può dirsi certo –
proseguono i giudici dell’Assise – che l’imputato avesse reale
consapevolezza del grave e complesso quadro clinico dell’anziana e delle
conseguenze che ne potevano derivare, a fronte della sua giovane età (che
usualmente comporta una sottovalutazione delle malattie) e delle sue condizioni
di vita, tenuto conto del basso grado di scolarizzazione e della sostanziale
assenza d’esperienze di vita pregresse.
In altri termini, sulla scorta di un giudizio ex ante, formulabile in base
all’età della nonna e delle patologie da cui era affetta, appare quantomeno
dubbio che l’imputato potesse avere percezione dell’alta probabilità di
verificazione dell’evento mortale.
Pertanto, posto che il dolo eventuale non può risolversi in una mera
accettazione di un evento in termini sfumati e astratti, poiché si verte di
uno stato psicologico che costituisce una delle forme della volontà, sebbene la
più attenuata, è evidente che le conseguenze mortali non lampanti bensì solo
prevedibili da parte di un agente modello non integrano quella vera presa
d’atto della chiara probabilità della verificazione dell’evento, necessaria per
aversi quella relazione essenziale tra la volontà e la causazione dell’evento
che connota la responsabilità dolosa.
Se dunque il dolo implica non la semplice accettazione di una situazione
rischiosa ma l’accettazione di un definito evento, allora nel caso di specie
forse si è giunti alla prova della rappresentazione del rischio ma non
dell’accettazione di un definito evento”.
Da qui la decisione dei giudici di cui alla sentenza di primo grado. La sentenza – pur avendo accolto la tesi della difesa in ordin alla qualificazione giuridica del tatto in omicidio preterintenzionale – è stata tuttavia impugnata da quest’ultima, ma anche dalla Pubblica Accusa. L’appello della pubblico ministero verteva sulla qualificazione del fatto in omicidio volontario. L’appello dell’avvocato Pasquale Longobucco, si articolava in quattro motivi.
Il primo è relativo alla responsabilità per omicidio preterintenzionale. Nel senso che sul fronte della del nesso di causalità, infatti, la questione non sarebbe del tutto pacifica in considerazione delle pregresse e critiche condizioni di salute della donna, sofferente, come detto, di problemi cardiaci.
D’altra parte sostiene la difesa, se si considera che le lesioni provocate dall’imputato avrebbero avuto una prognosi di gg. 7, si comprende come la condotta aggressiva, di per sé non avrebbe potuto provocare alcun evento letale. Neanche nei confronti di una signora anziana. Come infatti affermano i consulenti: se la signora Silvestri non avesse avuto la patologia cardiaca l’evento morte non si sarebbe verificato.
Dunque, sarebbe difficile affermare con esattezza cosa abbia scatenato la crisi cardiaca che condusse alla morte dell’anziana, posto che il pregresso e gravissimo quadro clinico esistente sarebbe stato compromesso da un qualunque altro evento stressante
Infine, tenuto conto che il reale quadro clinico della nonna fosse sconosciuto al nipote, sembrerebbe difficile, altresì, sostenere l’evidenza che l’imputato potesse prevedere il risultato della sua azione.
Il secondo motivo di appello, poi, è relativo alla questione della responsabilità dell’imputato con riferimento a possibile vizio di mente. Il tema era stato ampiamente dibattuto nel corso del giudizio di primo grado, a tal punto da spingere la Corte d’Assise estense disporre una perizia.
Con il motivo d’impugnazione si sostiene come la Corte di Assise, appiattendosi sulle conclusosi dei perito (che hanno escluso il vizio di mente) non abbia valorizzato una serie di evidenze relative a problemi e difficoltà psicologiche dell’imputato, incontrate nel corso degli anni, tanto da essere stato anche in trattamento farmacologico.
Il terzo motivo di appello, poi, ha a che fare con la determinazione della pena operata dalla Corte d’Assise e ritenuta dalla difesa eccessiva. In sostanza, in tema di intensità del dolo, la difesa ritiene come le motivazioni della sentenza di primo grado siano in alcuni punti contraddittorie, laddove da una parte si ribadisce come l’aggressione sia stata connotata da una “vis lieve”, che in un soggetto privo di patologie avrebbe avuto conseguenze minime, dall’altra si propende invece poi per una “elevata intensità del dolo”.
Il quarto motivo di appello è relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La difesa, contesta l’esclusione delle attenuanti evidenziando nella motivazione della sentenza un evidente contrasto non solo con quanto rilevato proprio a proposito delle modalità dell’aggressione e dei possibili disturbi dei quali soffriva l’imputato, ma anche con la sua condotta successiva ai fatti.
L’imputato, infatti, è attualmente agli arresti domiciliari, sta svolgendo regolare attività lavorativa ed ha da tempo intrapreso un percorso clinico riabilitativo.
Infine, un passaggio sulla contestata aggravante della minorata difesa, che il ricorso ritiene non sufficientemente dimostrata e non deducibile solo alla luce dell’età della vittima.
Lo scorso 11 gennaio è arrivata la sentenza di secondo grado della Corte d’Assise d’Appello, che, ha rigettato l’appello della Pubblica Accusa ed accogliendo in parte l’impugnazione della difesa ha ridotto la pena a 12 anni di reclusione. Per conoscere le motivazioni, sarà necessario attendere 90 giorni dalla lettura del dispositivo.