La direttiva 2004/80/CE. ha sancito il dovere per ogni Stato membro di apprestare tutele indennitarie per le vittime dei reati violenti occorsi sul proprio territorio, qualora risulti impossibile ottenere ristoro nei confronti dell’autore del reato per incapienza del patrimonio.

Tralasciando l’excursus storico della vicenda, costellato di colpevoli omissioni in relazione alla sottoscrizione di trattati tesi alla costruzione della tutela indennitaria, nonché tutte le vicende successive alla emanata direttiva e alla pronuncia della Corte Europea di Giustizia, prima nel 2007, poi nel 2016 – un fuoco di fila unidirezionale volto alla affermazione dell’obbligo di risarcire in maniera “equa ed adeguata” le vittime di reati dolosi – il Parlamento italiano, all’esito di inutili lallazioni e improbabili approfondimenti sul tema, vara la legge europea n° 122/2016, con la quale prende atto del consolidato giurisprudenziale europeo e delle pronunce delle Corti di merito italiane, e al solo fine di evitare una pronuncia di condanna da parte della Corte di Giustizia Europea, adegua il quadro normativo, allestendo un singolare e pernicioso campo minato, disseminato di contraddizioni ed elementi ostativi all’accesso della tutela (inserendo preclusioni in larga parte di dubbia costituzionalità). Dulcis in fundo, rinvia la determinazione degli importi dovuti a titolo di risarcimento all’emanazione di un decreto di attuazione entro 6 mesi. Il decreto viene firmato il 31 agosto 2017 e pubblicato il successivo 10 ottobre e prevede: il risarcimento nella misura di € 7.200,00 nel caso di omicidio doloso, da dividersi fra tutti i superstiti (8.200,00 per i figli della vittima se il delitto è commesso dal coniuge della vittima o da persona legata ad essa da relazione affettiva); il risarcimento nella misura di € 4.800,00 per le vittime di  violenza sessuale; in via residuale, il risarcimento nella misura di soli € 3.000,00 per le vittime di tutti gli altri tipi di reato.

Come è dato evincere, nulla di equo ed adeguato, se raffrontato agli ordinari criteri che presiedono la liquidazione del danno. Il tutto a tacere delle previsioni normative adottate da altri Stati membri, frutto dell’applicazione di parametri di liquidazione decisamente “equi ed adeguati” e con modalità di accesso al ristoro a dir poco agevoli, in quanto marcatamente deburocratizzate.

Oltre ad irridere la sofferenza di chi ha patito l’efferatezza di reati di tale gravità ed al di là della evidente elusione dei principi affermati dalla direttiva comunitaria e ribaditi dalla Corte di Giustizia europea, gli importi citati si pongono in netto contrasto con quanto liquidato in precedenza dalle Corti di merito, ma, soprattutto, stridono fortemente con i risarcimenti disposti ex lege avuto riguardo ad ipotesi similari (vittime dei reati di terrorismo e mafia, risarcimento per gli eredi del disastro del Cermis), risultando altresì largamente al di sotto rispetto a quanto previsto dalla legge 117/2014, che appresta rimedi risarcitori per i detenuti che scontano la pena in condizioni non adeguate.

La colpevole mutilazione dei basilari principi costituzionali perpetrata dal Legislatore nostrano espone, ovviamente, la legge 112/2016 ad una miriade di rilievi e censure di incostituzionalità, soprattutto in relazione all’art. 3 Cost. e le ragioni sono facilmente intuibili.

A fronte delle rilevate criticità e della connaturata debolezza della legge, destinata a sgretolarsi al vaglio della Corte Costituzionale in funzione di controllo di legittimità e della Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi sull’avvenuto adempimento o meno di quanto prescritto dalla direttiva comunitaria 80/2004, l’attuale impianto normativo in materia non può che considerarsi tamquam non esset, trovando, pertanto, reviviscenza taluni precedenti, con i relativi iter logico motivazionali (ad esempio penso alla giurisprudenza del Tribunale di Torino, confermata dalla Corte d’Appello, ripresa dal Tribunale di Roma e Bologna, con ulteriore affinamento concettuale degli istituti giuridici esaminati, contenenti gli unici, utili riferimenti idonei a garantire un’efficace tutela delle ragioni delle vittime di reati violenti).

Ciò detto, lascia francamente sgomenti la fragorosa celebrazione di sé che la maggioranza parlamentare autrice dello scempio descritto ha voluto spendere in occasione del varo di questa ignominiosa carneficina di buon senso, connotandola come una battaglia di civiltà affrontata e vinta.

Vecchio adagio insegna: “Se non puoi parlare bene di una persona, non parlarne”. Parafrasando verrebbe da dire: “Se non puoi fare una buona legge, non farla”.

 

Avv. Silvia Quitadamo

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