Un tema non solo attuale, ma anche estremamente importante e delicato, quello che viene affrontato e approfondito dal parere redatto da Mario Martinelli e da Francesco Pocorobba, dello Studio legale Martinelli & Bianchin .
Rinuncia tardiva all’eredità: si può fare. La Cassazione dice sì, se vi è un interesse del rinunziante. Ecco il caso che viene affrontato.
Tizia è deceduta senza lasciare alcun dettato testamentario. I chiamati all’eredità, nella convinzione che il genitore non possedesse alcunché, non davano seguito alla procedura di successione, né accettavano o rinunciavano ad un eredità, che per loro non esisteva.
L’anno seguente decede l’altro genitore, marito di Tizia, anch’egli senza lasciare testamento, ma proprietario di un bene immobile. I chiamati reputano comunque opportuno rinunciare all’eredità paterna e si determinano in tal senso.
Conseguentemente, al fine di gestire il patrimonio ereditario, si rende necessaria la nomina del Curatore dell’eredità giacente, che nella successiva redazione dell’inventario evidenzia, come detto, l’esistenza di un bene immobile appartenente al de cuius. Tuttavia, al momento della vendita dell’immobile ad opera del curatore, il notaio incaricato del rogito rileva che il regime patrimoniale dei coniugi era di comunione dei beni, asserendo, pertanto, che anche Tizia ne era comproprietaria al 50%. I figli, quali unici chiamati all’eredità, vengono, dunque, invitati dal Curatore ad esprimersi circa l’intenzione di accettare o rinunciare all’eredità della madre.
Determinatisi ancora una volta a non accettare anche l’eredità materna, contattavano lo scrivente studio legale chiedendo se fosse possibile rinunciare all’eredità dopo il decorso di oltre 10 anni dall’apertura della successione. Risultava infatti ai clienti che la cancelleria del Tribunale ritenesse di non poter dar seguito alla loro richiesta, invocando il dettato dell’art. 480 Codice civile (“il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni”).
Per rispondere a tale quesito si deve preliminarmente evidenziare che il Codice civile non indica un termine entro cui rinunciare all’eredità, in quanto l’art. 519 dispone unicamente che “la rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”. Nonostante ciò, la dottrina maggioritaria (Ferri; Grosso-Burdese;) è concorde nell’applicare il termine decennale previsto per l’accettazione ex. art. 480 c.c. anche alla rinuncia, in ragione del fatto che “una rinuncia successiva a tale termine avrebbe ad oggetto un’eredità per la quale il diritto di accettare è prescritto”.
Infatti, per ciò che attiene alla possibilità di proporre rinuncia tardiva, la dottrina palesa qualche perplessità, fondata sulla mancanza di una giustificazione causale dell’atto, in quanto privo di conseguenze pratiche.
Invero, mentre l’accettazione tardiva gode di efficacia piena fino a quando – e se – gli interessati oppongano l’intervenuta prescrizione, la rinuncia all’eredità si sostanzia nel totale disinteresse dei chiamati; eccepire l’intervenuta prescrizione, dunque, precluderebbe loro soltanto il diritto di accettare. Lo scopo della dichiarazione di rinuncia ereditaria proposta oltre il termine sarebbe quindi ravvisabile unicamente in una reiterazione del disinteresse dei chiamati riguardo all’eredità.
La giurisprudenza di Cassazione ha sciolto i dubbi in questione per mezzo della sentenza. n. 8053/2017, che, nel riconoscere l’ammissibilità della rinuncia ereditaria quand’anche venisse proposta oltre i termini decennali, ha individuato la giustificazione causale dell’atto “nell’interesse del rinunziante a stabilizzare e chiarire la sua condizione e volontà di non essere erede”. Ed in effetti, come sopra detto, anche l’accettazione tardiva gode di una sua efficacia e quindi resterebbe astrattamente incerta all’infinito la condizione dei chiamati (erede o non erede?).
A tal riguardo, affinché la rinuncia possa produrre effetti, è necessario che la volontà di non essere eredi affermata dai chiamati si sostanzi nell’astensione dalla realizzazione di condotte che facciano presupporre la loro volontà di accettare l’eredità, comportamenti incompatibili, dunque, con la volontà di rinunciarvi.
Una condotta incoerente con l’intenzione di rinunciare, come il compimento di atti di disposizione di beni ereditari, darebbe luogo ad accettazione tacita ex. 476 c.c., rendendo la successiva pretesa di rinuncia ereditaria priva di effetti giuridici, essendo l’accettazione un atto irrevocabile in virtù del principio “semel heres, semper heres”.
Nel caso sottoposto all’attenzione dello studio, i chiamati all’eredità non hanno mai compiuto atti che facessero presupporre la loro volontà di accettare, non essendo gli stessi nemmeno a conoscenza dell’esistenza del bene in oggetto.
Alla luce della “ratio” individuata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, si reputa quindi ricevibile dalla cancelleria del Tribunale, ai sensi dell’art. 519 del Codice civile, la dichiarazione di volontà dei chiamati volta a rinunciare – seppur tardivamente – all’eredità.