Merita di essere segnalata, per la portata applicativa del principio espresso, una recente sentenza del Tribunale di Ferrara, la n. 362/2018, Giudice Lepore, che ha dichiarato il non doversi procedere – per intervenuta prescrizione dell’illecito amministrativo – nei confronti di una società cui era stata contestata la responsabilità amministrativa ai sensi del D.lgs 231/2011 in relazione alla commissione, da parte degli apicali, dei reati p. e p. dagli artt. 515, 517 bis e 517 quater c.p., separatamente giudicati e condannati.
In particolare il Giudice ferrarese, nel pervenire alla pronuncia di non doversi procedere ai sensi degli artt. 67 D. Leg.vo 231/2001 e 129 c.p.p., ha ritenuto che il decreto di citazione a giudizio dichiarato nullo, per ben due volte, per violazione degli art. 59 e 34 D.Leg.vo 231/2001 non valesse quale atto interruttivo della prescrizione.
Con l’affermazione di detto principio il Tribunale estense ha condiviso la tesi difensiva dell’ente (patrocinato dall’Avv. Claudio Maruzzi), secondo cui, in materia di responsabilità amministrativa, la dichiarata nullità della contestazione non valesse a “salvarne” l’efficacia interruttiva, com’ è invece riconosciuto da parte della giurisprudenza che si richiama all’elenco tassativo degli atti interruttivi di cui all’art. 160 c.p. Il difensore, con apposita memoria, aveva sostenuto che: “Pare evidente infatti che, affinché l’atto possa esplicare effetto interruttivo idoneo ed efficace, è indispensabile che esso sia dotato dei requisiti di validità, atti a conferirne giuridica esistenza. La disciplina della prescrizione – in ambito 231 – prevede che sia atto idoneo ad interrompere la prescrizione dell’illecito amministrativo, la contestazione dell’illecito stesso, secondo il combinato disposto degli artt. 22 e 59 D.Leg.vo 231/2001. E’ evidente che debba trattarsi di contestazione regolare, ossia dotata di tutti i requisiti ivi imposti dalle predette disposizioni, a pena di nullità (arg. artt. 34, 59 Decreto 231 e 555, comma 2, cpp), nel caso di specie, gravemente carenti. In particolare: a)    il “primo” decreto emesso nei confronti di …. (quello del 9 ottobre 2013), oltre ad essere stato dichiarato nullo per omessa notifica dello stesso ad un valido difensore dell’ente, conteneva una contestazione non a norma dell’art. 59, come tale insuscettibile di interrompere validamente la prescrizione. Infatti: i. si indicavano come autori del reato presupposto genericamente “il personale della …..” omettendo qualsivoglia riferimento ai loro nominativi ed inserendoli in un contesto di responsabilità dell’ente cumulativamente ai sensi dell’art. 5 lett. a) e b), situazioni invero tra loro incompatibili; ii. mancava dell’indicazione precisa del reato presupposto e dei relativi articoli di legge asseritamente violati, oltre che di riferimenti alle norme del Decreto che individuano l’illecito ascrivibile all’ente; iii. mancava di qualsivoglia riferimento, anche approssimativo, ai quantitativi di prodotto venduto; iv. mancava totalmente dell’indicazione delle fonti di prova. b) Del pari, anche il “secondo” decreto emesso nei confronti di ………. (quello del 18 novembre 2014) non soddisfaceva i requisiti previsti dall’art. 59, tanto da essere stato dichiarato nullo “per genericità ed indeterminatezza” dell’enunciazione del fatto, in violazione degli art. 59 e 34 D. Leg.vo 231/2001 e 555, comma 2, cpp (vd. ordinanza Dott.ssa Lepore del 4 ottobre 2016). Che la dichiarata nullità dei predetti atti non valga a “salvare” l’efficacia interruttiva dei medesimi (il che è riconosciuto da taluna giurisprudenza, con riferimento all’elenco tassativo degli atti interruttivi di cui all’art. 160 cp, qualora ritenuti nulli), lo comprova la circostanza che in materia di responsabilità amministrativa degli enti, l’istituto della prescrizione ha una disciplina autonoma rispetto a quella prevista dal codice di procedura penale. Se infatti, da un lato, l’art. 160 c.p. ricollega l’interruzione della prescrizione alla mera emissione di specifici atti processuali, dall’altro, l’art. 22 D.lgs. 231/2001 prevede, quale atto interruttivo, la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59, precisazione non casuale, che evoca la necessità che detto atto – così fondamentale a tal punto di determinare la sospensione, addirittura fino al giudicato, della prescrizione, di fatto eliminandola, sia dotato di tutti i requisiti ivi contemplati, affinchè si possa parlare di formale contestazione. Del resto, la speciale valenza della contestazione dell’illecito amministrativo all’ente ex art. 59 Decreto 231, nei termini sopra descritti, si può riscontrare anche raffrontandola: (a) con la parallela causa interruttiva della prescrizione dell’illecito amministrativo rappresentata dalla richiesta di misura cautelare interdittiva, che si limita ad interrompere, ma non a sospendere la prescrizione, diversamente dalla contestazione (art. 22, comma 4, Decreto 231); (b) con gli atti interruttivi previsti dall’art. 160 c.p., che secondo la giurisprudenza, hanno efficacia interruttiva a prescindere dalla loro regolarità formale e dalla notificazione al destinatario, rilevando la mera, anche irregolare emissione, denotante comunque l’esistenza della volontà punitiva da parte dello Stato, circostanza che non trova riscontro nella logica del Decreto 231.

Non v’è dubbio che il principio sancito dall’arresto giurisprudenziale in commento sia di primaria rilevanza: attesa la peculiarità degli elementi richiesti dall’art. 59 del D.lgs. 231/2001 ai fini della validità della contestazione, la nullità del decreto di citazione a giudizio diviene così ipotesi tutt’altro che remota, ciò almeno sino a quando la materia della responsabilità amministrativa degli enti non verrà compiutamente dominata dalla “nostre” Procure.

Avv. Giulia Gioachin

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