La questione trattata prende spunto da un quesito recentemente sottoposto all’attenzione dello studio legale Martinelli&Bianchin. A redigere il parere, Mario Martinelli, Silvia Bertolo e Francesco Pocorobba.

La società Alfa intende avvalersi della collaborazione di uno o più procacciatori d’affari.

Consapevole delle insidie che possono celarsi nella redazione e/o nell’esecuzione del contratto, tali da renderlo non distinguibile da altri contratti ed in particolare dal contratto d’agenzia, Alfa chiede allo studio legale di approfondire la relativa disciplina e di evidenziare le differenze tra i due contratti.

Per ciò che attiene al contratto di agenzia la normativa applicabile è rinvenibile all’art. 1742 del Codice Civile, che ne indica i tratti fondamentali; al contrario, il contratto di procacciamento d’affari non trova esplicito riconoscimento normativo. Il confronto tra le due fattispecie, non dissimili per alcuni aspetti, è stato più volte operato dalla giurisprudenza che ne ha ricostruito i caratteri peculiari e ha posto in evidenza le differenze.

Con riguardo al profilo sostanziale l’agente è “colui che assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto del preponente o mandante la conclusione di contratti in una zona determinata; il procacciatore d’affari, invece, è colui il quale, senza vincolo di stabilità, raccoglie le ordinazioni dei clienti e le trasmette alla ditta da cui ha ricevuto l’incarico di procacciare tali commissioni[1]”.

Le differenze più evidenti tra i contratti, dunque, sono rappresentate dalla stabilità insita nel rapporto di agenzia, ed estranea, invece, al procacciamento, e dell’obbligo della promozione dell’affare prevista dall’art. 1742 c.c. ed esclusa, invece, al rapporto di procacciamento d’affari[2].

Emergono, tuttavia, ulteriori differenze tra i due contratti: la Corte di Cassazione ha indicato quali caratteri distintivi del contratto di agenzia non solola continuità e la stabilità dell’attività promozionale dell’agente – elementi entrambi indipendenti dal numero di affari conclusi – ma ha altresì evidenziato che per mezzo di tale contratto si realizza una “non episodica collaborazione professionale autonoma e con risultato a proprio rischio, con l’obbligo naturale di osservare – oltre alle norme di correttezza e di lealtà – le istruzioni ricevute dal preponente medesimo[3]”. L’agente è inoltre sottoposto al divieto di assumere l’incarico per preponenti concorrenti operanti nella stessa area territoriale.

La stessa sentenza 16565 del 31/07/2020 chiarisce che il rapporto di procacciatore d’affarisi concretizza nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procuraretali commissioni”, senza essere soggetto ad alcun sindacato relativo all’organizzazione della propria attività.

Emerge dunque che “il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento di affari non si distinguono soltanto per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento di affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini, e non l’attività promozionale di conclusione di contratti[4]”.

Ciò premesso deve essere posto in risalto un aspetto di primaria importanza: nonostante le affinità tra le due fattispecie, la scelta di applicare un contratto o l’altro non è irrilevante, e può comportare onerose conseguenze per il preponente.

Al termine del contratto di agenzia, infatti, il preponente deve corrispondere all’agente un’indennità di fine rapporto (in base alle condizioni di cui all’art. 1751 c.c.). Tale indennità può assumere importi rilevanti, in considerazione del fatto che è “calcolata sulla base delle provvigioni maturate e liquidate fino al momento della cessazione del rapporto”. 

Ad essa, prevista per legge, i contratti collettivi aggiungono ulteriori indennità calcolate sulla base dei risultati conseguiti dall’agente, come l’indennità di clientela e l’indennità meritocratica.

Il procacciatore d’affari, invece, non vanta alcun diritto a nessun tipo di indennità, come chiarito dalla Corte di Cassazione: “una volta acclarata la natura del rapporto de quo in termini di procacciamento di affari, va rammentato che a tale tipologia di attività possono applicarsi in via analogica solo le disposizioni relative al contratto di agenzia – nella specie le provvigioni – […] e non anche l’indennità di mancato preavviso, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità di cessazione del rapporto[5]”.

Anche in considerazione di tale aspetto è necessario evidenziare che la scelta meramente formale del nomen iuris che le parti attribuiscono al rapporto non ha rilievo se le condotte poste in essere dalle parti non sono coerenti con quanto stabilito dalla relativa normativa.

Infatti, qualora, pur in presenza di un contratto scritto di procacciamento, i rapporti tra le parti assumessero (per le modalità operative effettivamente attuate) caratteri propri dell’agenzia, il Giudice – accertata la presenza dei caratteri dell’agenzia– potrebbe condannare la preponente alla corresponsione di tutte le somme dovute per legge all’agente (ad esempio indennità e/o contributi…), e ciò a prescindere dalla qualificazione formale del rapporto operata dalle parti.

Ecco perché, ove la forma contrattuale scelta dalle parti sia quella di procacciatore d’affari, tale scelta dovrà risultare coerente con i rapporti materiali posti in essere dalle stesse: essi dovranno, cioè soddisfare le caratteristiche di occasionalità e autonomia proprie del procacciatore non coerenti, ad esempio, con il ricorso ad istruzioni da parte del preponente per l’individuazione di potenziali acquirenti o con la programmazione dell’attività).

Alla luce delle considerazioni svolte si è reso dunque necessario un preliminare ed approfondito esame non solo in merito ai contenuti del contratto – ed alla corrispondenza tra gli stessi e la volontà delle parti –  ma anche, e soprattutto, in merito alle modalità esecutive dello stesso, ciò per non rischiare di veder mutata la qualificazione giuridica indicata e voluta dalle parti, con le conseguenze – anche economiche – sopra evidenziate.


[1] Cfr. Trib. Roma sez. lav., n. 2865, 29/03/2022; Cass. Civ. n. 1078, 08/02/1999

[2] Cfr. Cass. Civ. n. 25356, 09/10/2019

[3] Cfr. Cass. Civ. n. 16565, 31/07/2020

[4] Cfr. Cass. Civ. n. 16565, 31/07/2020; Cass. n. 19828, 28/08/2013; Cass. n. 13629, 24/06/2005;

[5] Cfr. Cass. Civ. n. 1669, 29/01/2015

Condividi sui social