Il cliente Alfa, imprenditore che opera nel settore delle prestazioni di servizi di alta tecnologia, si rivolgeva allo studio legale Martinelli & Bianchin chiedendo un parere sull’equa ripartizione fra tempi di riposo e tempi lavorativi.
La particolare natura dell’impiego in oggetto rende infatti necessarie per i lavoratori lunghe trasferte al fine di recarsi nel luogo di esecuzione dell’attività lavorativa, che viene svolta con ritmi incalzanti per tutta la durata dello specifico evento, dal momento che l’interruzione della stessa comporterebbe una mancanza fondamentale, incisiva della corretta esecuzione della prestazione.
Il grado di specializzazione richiesto ai lavoratori, oltre che l’esigenza del datore di realizzare l’opera con economicità, rende impossibile il ricambio di personale in corso d’opera; è dunque inevitabile una compressione delle ore di lavoro in pochissimi giorni, circostanza che rischia di ledere il diritto al riposo garantito ai lavoratori. Ma è possibile bilanciare, conciliare e tutelare gli interessi reciproci delle parti?
Va preliminarmente osservato che il tempo di lavoro, indipendentemente se straordinario, deve rispettare il limite massimo di 13 ore giornaliere, essendo il periodo di riposo necessariamente costituito da 11 ore continuative.
L’articolo 9 del D.lgs. n.66/03, così come modificato dalla L. n.133/08, stabilisce poi che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, da cumulare con le ore di riposo giornaliero; questo periodo di riposo consecutivo è però calcolato come valore medio in un periodo non superiore a 14 giorni, sarà pertanto possibile stabilire periodi lavorativi superiori a 6 giorni consecutivi, purché ogni 14 giorni vengano previste almeno 48 ore di riposo.
Tuttavia è evidente che per alcune attività lavorative, quale quella in specie, il rispetto dei limiti temporali appaia di difficile applicazione. Sono perciò previste alcune deroghe alla disciplina normativa, offrendo alle parti la possibilità di computare l’orario massimo di lavoro caso per caso.
Come precedentemente accennato, nell’ambito di servizi altamente tecnologici, soprattutto se svolti all’estero, assume grande rilevanza il tempo impiegato nei trasferimenti, spesso molto lunghi e serrati.
In giurisprudenza sia nazionale (Cass. 23360/2013) che comunitaria (Corte Giustizia Europea 10.09.2015, causa C-266/14), secondo l’orientamento ad oggi prevalente, si sostiene che, da un lato, il tempo necessario per raggiungere dal proprio domicilio la normale sede di lavoro non debba essere remunerato, poiché durante il tragitto il dipendente non risponde ad alcuna direttiva né a particolari prescrizioni datoriali, dall’altro, invece, ed è ciò che rileva maggiormente, che il tempo necessario per raggiungere altre sedi, qualora funzionali rispetto alla prestazione, debba essere remunerato (“sommato al normale orario di lavoro come straordinario”), poiché dettato da esigenze del datore.
La necessità della presenza fisica continuativa del lavoratore nel posto di lavoro comprime senz’altro il suo tempo di riposo, diritto irrinunciabile e garantito costituzionalmente dall’art. 36, oltre che dal codice civile (art. 2109 “Periodo di riposo”), e trattato poi da leggi speciali di attuazione di Direttive Eu (D.lgs. n. 66/2003 e da ultimo L. n. 9/2014, 135/2014 e D.lgs. n. 80/2015 e 151/2015).
Non esiste nella normativa nazionale o comunitaria una definizione autonoma del concetto di riposo, ma viene quasi sempre dedotta a contrario come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.
Autorevole dottrina nazionale (Ichino) riconosce al lavoratore
non solo un diritto al riposo inteso come “recupero fisiologico”, ma anchecome “salvaguardia degli
spazi di vita familiare e sociale”.
Ciò sembra valere anche per la Corte di Giustizia, che allo stesso modo fa
riferimento al “restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale” e
al “impedimento o limitazione della libertà di gestire il proprio tempo”.
L’attuale tutela comunitaria, rigorosa in materia di diritto al riposo, detta disposizioni protettive anche nei confronti di lavoratori particolari, quelli c.d. mobili (ossia lavoratori a bordo di navi da pesca, gli operatori del Pronto Soccorso ecc.), non considerando periodo di riposo neppure quelle fasi lavorative durante le quali il lavoratore non solo “non presta effettivamente la sua attività”, ma addirittura “con riferimento alle fasi temporali in cui il lavoratore riposi, o (..) dorma”, e ciò perché i lavoratori sono costantemente sottoposti a due obblighi, consistenti nell’essere “fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro” e nell’essere “a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente” la propria opera.
Ad opposte conclusioni si deve invece giungere allorché il servizio sia reso in regime di “reperibilità”, purché sia consentito scegliere il luogo dove soggiornare e le attività da svolgere durante le attese.
Nel caso di specie, il riposo settimanale deve necessariamente avvenire durante i trasferimenti in aereo, in apparente contrasto con la necessità di assicurare ai lavoratori un riposo effettivo, da considerarsi non solo fisiologico, ma anche come spazio ricreativo (familiare, sociale e comunque con libertà di scelta).
Conseguentemente, l’imprenditore potrebbe trovarsi in difficoltà nell’interpretazione della normativa sui riposi e nella sua concreta applicazione.
Fermo restando che molti paesi europei hanno manifestato il loro disappunto (minacciando ricorsi) nei confronti di normative troppo rigide che impediscono di fatto l’attività lavorativa in alcuni settori (aereo, navale, ferroviario, stradale) e per alcune categorie di lavoratori (c.d. mobili), ad oggi non appare all’orizzonte una possibile apertura della UE nei confronti dell’esigenza occupazionale ed a discapito dell’esigenza di tutela alla salute e alla sicurezza dei lavoratori; al contrario, pare proprio che, almeno in Europa, le normative a protezione di questi ultimi siano sempre più stringenti.
Allo stato permangono pertanto margini di incertezza in merito alla possibilità di considerare periodo di riposo il sonno, anche profondo e riposante, del lavoratore che viaggi su mezzi di trasporto, quali ad esempio l’aereo.