Riportiamo l’articolo pubblicato su Rga, Rivista giuridica dell’Ambiente, dall’avvocato Matteo Ceruti, promotore della rete professionale Lpteam. Per l’articolo in formato Pdf clicca qui.

In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’Amministrazione devono tener conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio, per cui non può essere dato rilievo allo stato effettivo o reale dell’edificazione che si limita a rappresentare staticamente la realtà dell’uso del territorio, trascurando l’aspetto dinamico del suo governo. (CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 12 dicembre 2019, n. 8443 – Pres. Maruotti, Est. Di Carlo – F. s.p.a. c/ Comune di Torino e altri).

La sentenza in commento risulta significativa perché affronta tematiche classiche in tema di pianificazione acustica comunale.

La vicenda in breve è la seguente. Una società, proprietaria di un compendio immobiliare sito all’interno di un comprensorio industriale, contesta il piano di zonizzazione acustica approvato dal comune laddove ha inserito nelle classi acustiche II (“aree ad uso prevalentemente residenziale”), III (“aree di tipo misto”) e IV (“aree di intensa attività umana”) alcune zone adiacenti a quella della ricorrente, ovviamente inclusa in classe acustica VI (“aree esclusivamente industriali”). La proprietà evidenzia come quest’ultima classificazione delle aree limitrofe risulti penalizzante ed illegittima giacché, tenendo conto dello stato di non completa urbanizzazione di tali aree limitrofe (di fatto, rimaste inedificate), il Comune non avrebbe dovuto applicare la soluzione del “piano di risanamento” (il quale consente la deroga al divieto di accostamento tra zone i cui limiti massimi di rumore si discostino di più di 5 decibel), bensì quella della previsione delle cd. “zone cuscinetto”.

Il Tar del Piemonte respinge il ricorso con sentenza che viene impugnata dalla società al Consiglio di Stato con un appello con cui deduce una serie di doglianze.

I giudici amministrativi d’appello ripercorrono il quadro normativo sia statale (dalla legge quadro n. 447/1995 al DPCM 14.11.1997) che regionale piemontese (dalla l.r. n. 52/2000 alle linee guida approvate dalla giunta regionale[i]) chiarendo che, nell’operare la classificazione acustica del territorio, il Comune è tenuto a seguire i seguenti fondamentali criteri:

1°) deve tenere conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio;

2°) deve vietare il contatto diretto di aree quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA;

3°) qualora, nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate, non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni di uso, deve prevedere l’adozione di “piani di risanamento”;

4°) qualora in base alle destinazioni del piano regolatore comunale, sussistano “accostamenti critici” tra aree che invece non sono urbanizzate, debbono essere inserite “fasce cuscinetto” volte all’eliminazione della criticità riscontrata.

Quindi, in sentenza si chiarisce, sulla base del concetto di “densità urbanistica”[ii], quale sia il discrimine -alla luce della normativa regionale in materia acustica- tra “aree urbanizzate” ed “aree non urbanizzate (o “non completamente urbanizzate”) ai fini dell’applicabilità delle ricordate “fasce cuscinetto” per consentire l’omogeneizzazione acustica, prevista come obbligatoria solo a fronte di accostamenti critici tra aree che siano entrambe non urbanizzate.

Così si perviene a concludere che il principio per cui in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’Amministrazione debbono tener conto della pianificazione urbanistica locale (pur non potendo sovrapporsi meccanicamente alla stessa), rileva sotto un duplice aspetto:

– da un lato, in relazione all’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore;

– dall’altro con riferimento all’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità edificatorie derivanti dalle pregresse scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria.

E, pertanto, nell’interpretazione del concetto di “densità urbanistica” (e di quello di “urbanizzazione”) delle aree ai fini della zonizzazione acustica comunale, non può essere dato rilievo agli usi effettivi in atto sul territorio ovvero al solo stato dell’edificazione, perché essi si limitano a rappresentare staticamente la realtà dell’uso del territorio, trascurando invece l’aspetto dinamico del suo governo che impone di dare rilievo alle destinazioni urbanistiche previste dalla pianificazione comunale.

Diversamente -precisa il Consiglio di Stato- si verrebbe a creare una duplice limitazione, tanto per il vigente strumento urbanistico il quale non potrebbe più essere attuato secondo le originarie previsioni, quanto a carico dei privati in ragione delle diminuite capacità edificatorie dei propri fondi, attraverso l’imposizione delle “fasce cuscinetto”.

Conclusivamente, dunque, il giudice amministrativo di appello conferma la correttezza della strada del piano di risanamento acustico (e non della creazione di “zone cuscinetto”) seguita dall’amministrazione comunale.

Con la pronuncia in commento viene infine dichiarato inammissibile l’ulteriore motivo di ricorso con cui si sosteneva che il piano acustico non aveva previsto che gli oneri derivanti dalla necessità di adottare il piano di risanamento dovevano gravare esclusivamente sull’amministrazione. In sentenza si precisa infatti che la censura risultava, allo stato, meramente ipotetica in quanto il piano di zonizzazione acustica comunale non poteva contenere alcun riferimento all’aspetto soggettivo dell’imputazione dei costi necessari per l’attuazione del piano di risanamento perché una tale previsione dovrà essere contenuta nello stesso piano di risanamento, il quale potrà essere in futuro autonomamente impugnato laddove recante previsioni lesive.

La decisione ivi annotata si inscrive dunque nel solco di una giurisprudenza relativa ad un contenzioso alquanto classico in materia di zonizzazione acustica, per lo più conseguente a problematiche connesse a situazioni di contiguità o vicinanza di aree residenziali ad attività produttive (potenzialmente) rumorose.

In proposito si deve considerare che la legge quadro n. 447/1995 assegna al piano comunale di zonizzazione acustica del territorio comunale (mediante applicazione delle sei classi acustiche stabilite dal d.P.C.M. 14.11.1997), un chiaro obiettivo di miglioramento della situazione di inquinamento da rumore: lo scopo del piano è infatti quello giungere al rispetto dei “valori di qualità” (che sono i valori acustici più stringenti in funzione della tutela della salute umana e dell’ambiente) per le diverse zone.

E tuttavia per il raggiungimento di questo obiettivo è inevitabilmente previsto un metodo “realistico”, che tiene conto cioè delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio e del coordinamento con gli strumenti urbanistici. Il tutto con il già ricordato generale divieto di “salto di classe” acustica (ossia del contatto diretto di aree con classi acustiche per cui si applicano valori superiori ai 5 decibel) che è però derogabile con l’approvazione di un “piano di risanamento”.

Il piano di risanamento acustico di competenza comunale -istituto su cui è incentrata la sentenza ivi annotata- è disciplinato in maniera piuttosto compiuta nell’art. 7 della legge n. 447/1995 che ne definisce i presupposti, la competenza e i contenuti.

In sintesi, l’approvazione da parte del Consiglio comunale del piano di risanamento acustico è obbligatorio:

1) se vi sia il superamento dei “valori di attenzione” (indicativi di un potenziale rischio per la salute umana) in alcune porzioni del territorio comunale;

2) a fronte dell’impossibilità di rispettare il divieto di “salto di classe” per zone contigue in occasione della zonizzazione acustica relativa ad aree già urbanizzate, a causa delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio.

Il piano di risanamento è invece facoltativo per il perseguimento dei “valori di qualità” (ossia degli obiettivi di inquinamento acustico da conseguire nel breve, medio e lungo periodo).

Cinque sono i contenuti necessari del piano di risanamento: a) entità e tipologia di rumori presenti, b) individuazione dei soggetti cui spetta l’intervento di risanamento; c) indicazione delle priorità, modalità e tempi di risanamento; d) stima degli oneri finanziari necessari; e) eventuali misure urgenti e cautelari.

Il proprium del piano di risanamento acustico è dunque quello di ridurre la situazione di inquinamento da rumore di aree caratterizzate da maggiore criticità attraverso uno strumento che, in un’ottica territoriale, individua le modalità di intervento che, nei casi limite, possono prevedere anche la “delocalizzazione” delle attività rumorose ovvero di ricettori “particolarmente sensibili” (art. 2, comma 5, lett. e, legge 44/1995), i costi e i soggetti chiamati ad attuarlo e dunque a sostenerne gli oneri.

Poiché dunque l’attuazione del piano può essere posta, in tutto o in parte, a carico dei soggetti privati, che possono essere individuati nei titolari delle sorgenti di rumore, ma anche nei recettori, è fondamentale consentire un contraddittorio preventivo con i soggetti interessati[iii].

Altra significativa tematica toccata dalla sentenza in esame è quella dell’ampiezza del sindacato giurisdizionale sulla zonizzazione comunale.

Viene infatti respinta l’ulteriore censura del ricorso di pretesa inadeguatezza della motivazione dell’assegnazione alle zone circostanti il compendio (correttamente inserito in classe VI) di autonome classificazioni acustiche (anche di III classe) in quanto -spiegano i giudici- l’amministrazione ha invece dato congruamente conto delle ragioni sottese alle scelte classificatorie, considerando lo stato dell’urbanizzazione e le criticità riscontrate; il tutto con la precisazione che il sindacato del giudice deve arrestarsi alla soglia della non manifesta illogicità, irrazionalità o irragionevolezza della scelta compiuta, senza potere impingere nel merito dell’azione amministrativa.

In proposito si consideri che la giurisprudenza risulta oscillante in ordine all’ampiezza della discrezionalità comunale nell’esercizio del potere di classificazione acustica del territorio ed al conseguente ambito di sindacato giurisdizionale.

V’è infatti un indirizzo giurisprudenziale che, sottolineando la funzione lato sensu “pianificatoria” della zonizzazione acustica, la ritiene caratterizzata da un “nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa”, pervenendo ad affermare che il sindacato giurisdizionale sarebbe assai ristretto e “sostanzialmente limitativo ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale”[iv].

Sia consentito affermare che tuttavia trattasi di principi alquanto opinabili sia alla luce della normativa di settore, sia in ragione dei principi ripetutamente affermati dalla Corte di Giustizia UE in materia di accesso alla giustizia in materia ambientale con un riesame giurisdizionale che deve spingersi sino al controllo della legittimità sostanziale (e non solo formale) delle decisioni[v].

Altri giudici amministrativi invece, maggiormente in linea con la giurisprudenza eurounitaria, circoscrivono gli spazi più ampi di discrezionalità comunale alla delimitazione delle classi acustiche intermedie (II, III e IV), affermando che l’esercizio del potere discrezionale di zonizzazione acustica deve comunque sempre avvenire secondo principi di proporzionalità e ragionevolezza[vi].

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