L’analisi dell’avvocato Claudio Maruzzi, promotore della rete professionale Lpteam e componente del direttivo di Eunomis.
Premessa. Le SSUU penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27515, depositata il 28 luglio 2025, hanno dunque “sdoganato” il reato di epidemia colposa mediante omissione, nell’ambito di una vicenda che vedeva un delegato del datore di lavoro di un ospedale civile inadempiente rispetto agli obblighi previsti dal testo unico sulla sicurezza, con riferimento alla fornitura ai lavoratori dei necessari dispositivi di protezione individuale e collettivi per il contrasto alla diffusione del virus Sars-Cov.2, oltre che incurante dei doveri di formazione dello stesso personale nella gestione di tale rischio. Il giudice di rinvio dovrà dunque rivalutare la posizione del datore di lavoro originariamente assolto, rispetto ad eventuali responsabilità omissive.
Tra i primi commenti, a mio avviso, non tutti adeguatamente meditati, taluni si sono segnalati per aver prefigurato scenari orwelliani, che vedono il cittadino esposto al rischio incombente di pena detentiva perpetua, qualora non osservi le “precauzioni” di volta in volta imposte dal governante di turno, impegnato a fronteggiare nuove epidemie. Vediamo di riflettere con ragionevolezza sugli scenari concretamente prospettabili.
Rapida analisi della fattispecie delittuosa astratta. L’art. 438 codice penale prevede che “chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”.
Per inciso, la situazione prevista dal secondo comma, ossia la morte di più persone derivante dall’epidemia cagionata mediante la diffusione di germi patogeni, è circostanza priva di valenza pratica, dopo l’abolizione della pena di morte, sanzione originariamente prevista; in altre parole, la morte di almeno due persone è da considerarsi un post factum non maggiormente punibile rispetto alla pena dell’ergastolo, neppure con misure detentive più afflittive rispetto all’ergastolo “ordinario” (ad esempio, isolamento diurno ed altre ulteriori limitazioni delle libertà personali previste dall’ordinamento penitenziario).
Rapida scansione concettuale della norma. Il “vettore” che determina l’epidemia, menzionata come evento del reato, è il “germe”, ossia quel virus o altro microrganismo dotato di infettività, quindi in grado di propagarsi e diffondersi (“patogeno”) tra la popolazione: questo si è verificato nel contesto del fenomeno-Covid, con ampiezza talmente elevata da farla assurgere ad “epidemia” (secondo la vulgata, addirittura a “pandemia”).
Epidemia, pertanto, è l’effetto della propagazione – straordinariamente aggressiva – del germe, da persona a persona, caratterizzato da un’elevata diffusione su territori non facilmente perimetrabili, effetto suscettibile di ampliarsi ulteriormente, con modalità difficilmente “programmabili”.
Il “decisum” delle Sezioni Unite Penali. Dunque, secondo la interpretazione delle SSUU penali, l’epidemia prodotta dalla diffusione di germi patogeni, affinché configuri ipotesi di reato attribuibile ad una persona, può realizzarsi anche tramite comportamenti colposi omissivi, ossia attraverso un “non facere”, secondo il disposto dell’art. 40, comma secondo, codice penale, purchè:
- l’agente rivesta una posizione di garanzia riconosciuta dall’ordinamento giuridico;
- l’agente abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento-epidemia, in virtù della suddetta posizione di garanzia;
- il nesso di causalità tra l’omessa adozione dei mezzi utili ad impedire la diffusione dei germi patogeni (virus, batteri, …) ed il verificarsi dell’epidemia, come evento conseguente alla suddetta omissione, sia assistito da un giudizio di alta probabilità logica.
E’ dunque concreto il paventato rischio per il cittadino comune ? Vediamo d’appresso. Il rischio che il cittadino comune possa essere ritenuto responsabile quale “untore”, qualora non abbia osservato misure precauzionali individuali (o ritenute tali, quali mascherina, distanziamento, lockdown, obblighi “vaccinali”, ecc), in quanto “portatore” di agenti virali infettivi, ritengo non sia concretamente sussistente, se non altro in quanto il “quivis” non riveste alcuna posizione di garanzia, ossia non ha alcun obbligo giuridico di impedire che i terzi si contagino, anche qualora fosse egli stesso “vettore” del virus. Ciò anche a prescindere dall’efficacia di tali misure a fronteggiare il suddetto rischio, efficacia i cui dubbi, col tempo, sono divenuti vieppiù insuperabili.
… e per i “garanti” ? A mio pacato giudizio, la concreta attribuibilità di responsabilità del delitto di epidemia colposa omissiva, nella portata disegnata dalla norma, anche a carico di coloro che, a vario titolo, in ambito pubblico o privato, rivestono posizioni di garanzia qualificate, è da ritenersi assolutamente improbabile.
In primis, come detto, l’inazione deve riguardare soggetti che rivestono una posizione di garanzia qualificata:
(i) in ambito privatistico o di amministrazioni “periferiche”, si pensi al datore di lavoro, o al responsabile della sicurezza di RSA, scuole, caserme, ospedali, carceri, luoghi dove la “contiguità umana” è necessitata dal contesto;
(ii) a livello governativo, si pensi al Segretario generale del Ministero della Salute od ai Direttori generali di talune delle Direzioni generali in cui si articola il Ministero della Salute (Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 11 febbraio 2014 n. 59, Regolamento di organizzazione del Ministero della Salute).
A tale proposito si ricorda che il Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Brescia, con decisione resa in data 7 giugno 2023, ha archiviato le accuse a carico di Conte e Speranza con riferimento ai reati di cooperazione colposa nella causazione dei reati di epidemia ai sensi degli artt. 113, 438, 452 codice penale, per mancata attivazione della “zona rossa” in due comuni della bergamasca, per insufficienza dei flussi informativi, il primo, per mancanza di poteri di ingerenza delle funzioni dei dirigenti, il secondo).
Le ragioni di una conclusione “rassicurante”. Al di là di questi aspetti, sembra assai problematico – per tutte le figure umane potenzialmente coinvolgibili in ipotetiche responsabilità, a fronte di possibili omissioni contestate – “localizzare” quel comportamento alternativo corretto, adottabile per neutralizzare concretamente il rischio di contagiare terzi, attraverso la propagazione del virus, ragionevolmente (prima che giuridicamente) esigibile.
Ancor più problematico – nella ricerca di quel “chiunque”, pur titolare di una posizione di garanzia, cui attribuire eventuali responsabilità nella causazione dell’epidemia da Sars-Cov.2, connessa a supposte inazioni – accertare il nesso di causalità tra inazione ed epidemia, essendo molteplici e difficilmente decifrabili i fattori che determinano la “malattia”, quindi l’epidemia.
Peraltro, lo scenario penale è, in quest’ottica, di per sé estremamente problematico, trattandosi di un ambito ove il confine “marcabile” della responsabilità è noto essere l’ oltre ogni ragionevole dubbio (non a caso la sentenza in commento ricorda la necessità di addivenire ad un giudizio di alta probabilità logica) rispetto al più probabile che non, requisito che segna invece il territorio della responsabilità civile, attivabile a partire dalla fattispecie di cui all’articolo 2043 codice civile.
Altre omissioni penalmente rilevanti “in cantiere”. Da segnalare, infine, il diverso fronte che si è aperto – sempre in ambito di rilevanza epidemiologica – rispetto ad altra omissione penalmente rilevante, nei confronti di vari apicali di funzione (ex direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute ed ex vicedirettore dell’OMS, ex direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute e altri dirigenti del Ministero della Salute) destinatari di imputazione coatta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, in termini di omissione in atti di ufficio (art. 328 codice penale), con riferimento al mancato aggiornamento del “piano pandemico”, ossia di quel fondamentale documento “istituzionale”, idoneo a predisporre, od imporre norme di comportamento atte a prevenire, o quantomeno a limitare la diffusione o la propagazione del virus.
Da osservare come, pur nella, non semplice, anche in questo ambito, ricerca delle responsabilità, esse comunque, diversamente da quelle che riguardano il reato di epidemia colposa, prescindono dalla verifica dagli effetti sulla salute pubblica derivanti dalla mancata adozione del documento.




