Un approfondimento, di Mario Martinelli e Francesco Pocorobba, dello studio legale Martinelli & Bianchin, che interviene su un tema sempre più dibattuto.
Il patrimonio ereditario, da sempre considerato l’insieme dei beni materiali ed immateriali del de cuius, si sta arricchendo anche di una tipologia di beni finora sconosciuta: i beni digitali.
È innanzitutto necessario chiarire cosa si intenda per bene digitale. Esso “è un bene composto da bit e rappresentato in formato binario (ovverosia da una serie di 0 e 1)” [A. Monforte]. Tutto ciò che è digitale è composto da bit: le foto, i video, i programmi, i documenti di testo null’altro sono che infinite combinazioni di 0 e 1.
L’esigenza di garantire un rilievo ereditario anche a tale categoria di beni è scaturita dal crescente rilievo che il lascito digitale ha assunto per gli eredi. Si fa riferimento, a tal proposito, non soltanto ai soli beni a contenuto patrimoniale (ossia suscettibili di valutazione economica) come il denaro conservato nei digital wallets, i beni digitali acquistati online, i software per elaborare, i progetti di lavoro, ma anche i beni a contenuto non patrimoniale, (ossia connessi ad interessi individuali o affettivi) come le foto di famiglia, il diario redatto su un documento informatico o le conversazioni contenute negli account personali.
L’acquisizione di tali beni rappresenta un fattore di primaria importanza per gli eredi, ed è spesso disancorato dal valore economico del bene, essendo invece fermamente connesso al valore affettivo dello stesso, in quanto permette ai familiari di entrare in possesso di ricordi altrimenti destinati a rimanere per sempre nel limbo dell’archiviazione digitale.
Per ciò che attiene alla successione di tali beni, ed in particolare alle modalità con cui essa avviene, è necessario distinguere diversi casi:
- I
beni digitali a carattere patrimoniale
come cryptovalute,
beni digitali acquistati online (programmi,
libri, film, ecc.), sono di esclusiva proprietà del de cuius e seguono le ordinarie
regole di successione ex art. 565 c.c. Non si rilevano, dunque, particolari
profili critici, se non per ciò che attiene alle credenziali di accesso al
dispositivo che custodisce tali beni. Non sempre, infatti, risulta agevole
l’accesso al dispositivo o alle app su cui sono archiviati i beni digitali:
quasi la totalità delle stesse richiede, per ragioni di sicurezza, una
procedura di autenticazione mediante password. Le app che custodiscono i
portafogli digitali, inoltre, in virtù del loro contenuto riservato, richiedono
un ulteriore step di autenticazione (2FA) consistente nell’inserimento di un
codice segreto inviato ad un secondo dispositivo. Soltanto chi è a conoscenza
delle password di entrambi i dispositivi può dunque accedere al profilo
personale del de cuius ed entrare in
possesso dei beni ivi contenuti. Nel
caso -frequente- in cui non si
conoscano le credenziali di accesso, sarà necessario rivolgersi a degli
specialisti affinché aggirino i blocchi di sicurezza e permettano agli eredi di
entrare in possesso dei beni digitali conservati nel dispositivo. Tale
soluzione è applicabile solo in riferimento ai beni conservati in dispositivi
fisici, come pc o smartphone; per ciò che riguarda il recupero dei beni
contenuti negli account è necessario rivolgere una specifica istanza ai
fornitori di servizi, secondo quanto verrà indicato al punto n. 3.
- Per ciò che attiene ai beni digitali a carattere non patrimoniale ossia stralci di conversazioni, foto di famiglia, diari personali, si applica la l’art. 93 della L. n. 633/1941 sul diritto d’autore: la disposizione menzionata non attribuisce un diritto di proprietà sul bene fisico, quanto invece la titolarità del diritto di concedere l’autorizzazione alla diffusione, pubblicazione e riproduzione di tali beni, sopraffacendo pure qualsivoglia disposizione testamentaria. Tale diritto viene attribuito ai soggetti più vicini al de cuius, quali il coniuge e/o ai figli, ed in mancanza di essi ai genitori.
- Volgendo
l’attenzione agli account,
viene in rilievo come essi non siano di
proprietà dell’utente ma del fornitore del servizio (es. Facebook, Google,
Amazon, DropBox, ecc), che concede allo user
il mero utilizzo dello stesso in forza rapporto contrattuale sottoscritto
all’atto di registrazione. L’account social, pertanto, non cadrebbe in
successione, ma sarebbe escluso dalla disponibilità degli eredi.
Emergono, tuttavia, profili critici in riferimento alla fruizione dell’account del de cuius e del relativo accesso ai dati ivi contenuti: infatti, nonostante la disciplina delle successioni preveda che gli eredi subentrino nelle posizioni contrattuali del defunto, la maggior parte dei contratti di social network prevede clausole di intrasmissibilità mortis causa del contratto, di incomunicabilità dei dati contenuti nell’account, e di cancellazione dei dati in caso di morte del contraente.
La ratio di simili previsioni contrattuali è da ricercare in primo luogo nel rispetto del dovere di riservatezza in capo ai fornitori del servizio, che verrebbe meno qualora venisse concesso l’uso dell’account a soggetti terzi, ed in secondo luogo dalla natura personale del contratto stipulato con l’utente, in cui le qualità personali dello stesso assumono una rilevanza fondamentale.
Nel caso in cui le credenziali di accesso fossero sconosciute agli eredi, dunque, risultava impossibile entrare in possesso dei beni archiviati negli account in questione. Tale circostanza comportava serie ripercussioni di natura sia affettiva che patrimoniale, considerato l’elevato valore economico che poteva vantare un account con un consistente numero di seguaci.
Per tali ragioni negli ultimi dieci anni le controversie aventi ad oggetto la richiesta di accesso degli eredi all’account del defunto si sono moltiplicate. Anche grazie all’evoluzione normativa di matrice europea -prontamente recepita dal nostro ordinamento- si è giunti al superamento degli ostacoli posti dalle rigide condizioni contrattuali dei fornitori di servizi digitali.
La rivoluzionaria sentenza della Bundesgerichtshof tedesca del 2018 ha tracciato i principi fondamentali in tema di trattamento dati personali relativi agli account e della trasmissibilità mortis causa degli stessi: muovendo dal dettato del GDPR, la Corte tedesca ha stabilito la nullità delle clausole che prevedono l’intrasmissibilità del contratto e l’incomunicabilità dei dati contenuti nell’account, in quanto abusive: non permetterebbero infatti una contrattazione espressa circa il contenuto di tali clausole né tantomeno un’equa distribuzione di diritti tra le parti.
Invero, l’art. 6 par. 1 lett. b) del GDPR, non ritenendo sussistente alcun elemento ostativo alla trasmissibilità mortis causa del contratto di fornitura di servizi, riconosce in capo agli eredi la titolarità del trattamento dei dati relativi all’account del defunto; Tale posizione è avvalorata dalla lett. f) dello stesso articolo, che statuisce che “il trattamento è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi […]”. Siffatta disposizione, annoverando espressamente tra i soggetti titolari del trattamento anche “terzi”, ribadisce ulteriormente la prevalenza dell’interesse in capo agli eredi rispetto alla potenziale lesione della privacy del de cuius e degli altri utenti.
In tal senso l’ordinamento italiano prevede una tutela ancora più pregnante, offerta dal D.Lgs 196/2003 così come modificato dal D.Lgs. 101/2018, intitolato “diritti riguardanti le persone decedute”. L’art. 2 terdecies, infatti, consente a tutti coloro che hanno un interesse proprio o che agiscono per ragioni familiari meritevoli di tutela, di ottenere l’accesso a tutte le informazioni riconducibili al de cuius memorizzate dal titolare del trattamento, includendo, dunque, anche tutti i beni digitali esistenti nell’account quali foto, video, conversazioni ecc.
A conferma del progressivo conformismo giurisprudenziale comunitario, anche nei tribunali italiani le prime pronunce sembrano sorreggere siffatto orientamento: è recente la sentenza del Tribunale di Milano che ha riconosciuto ad una donna il diritto di accedere agli account Whatsapp e ICloud del marito defunto, condannando l’azienda fornitrice del servizio a comunicare alla stessa le password di accesso ai profili.
Alcuni fornitori di servizi, forse per evitare le sempre più frequenti iniziative giudiziarie degli eredi, stanno mettendo a disposizione dei soggetti che vantano un interesse la possibilità di presentare un’istanza dove richiedere l’accesso ai dati personali del de cuius ed ottenere la copia e/o la cancellazione dei dati memorizzati, così come le credenziali di accesso all’account del defunto, -anche se questa seconda ipotesi viene accolta raramente-.
Dunque, riassumendo, secondo le ultime pronunce giurisprudenziali, rientrano fra i beni soggetti a disponibilità degli eredi anche gli account del de cuius, ed è possibile, dunque, ottenere i dati riguardanti il defunto oltre che richiedere la piena disponibilità dell’account attraverso le credenziali di accesso.
Come emerso la materia è ancora in pieno sviluppo e le normative non sono ancora uniformi. Qualora si intendano ricomprendere nella massa ereditaria anche i beni digitali, dunque, è necessario procedere con uno scrupoloso inventario affinché si possa operare una corretta quantificazione del lascito, ed ottenere le adeguate e diverse tutele offerte dall’ordinamento.