Una importante sentenza in tema di diffamazione a mezzo stampa, ottenuta dall’avvocato Pasquale Longobucco, componente della rete professionale Lpteam, e che individua e ribadisce con precisione i limiti ai quali va soggetto il diritto di critica, distinto da quello di cronaca.
Nella vicenda, l’avvocato Longobucco tutelava Mario Zamorani, presidente dell’associazione “Radicali di Ferrara”, per conto del quale aveva presentato querela, appunto per diffamazione, nei confronti di Nicola Lodi, esponente di spicco della Lega e attuale vicesindaco di Ferrara. Al centro della vicenda, alcune dichiarazioni che il secondo avrebbe rilasciato a un quotidiano online cittadino, ritenute da Zamorani offensive. Il tutto proiettato sullo sfondo di forti tensioni politiche che, in quel periodo, il giugno del 2018, attraversavano la città.
Nella propria querela, Zamorani riferisce come il 25 giugno del 2018 si trovasse sullo scalone del Municipio, in occasione del consiglio comunale, quando Lodi, passandogli accanto assieme tre ragazzi con la testa rasata, gli avrebbe detto “Lei stia attento a quello che scrive, perché qualcuno potrebbe arrabbiarsi”. Un episodio che preoccupò Zamorani e che venne citato in una nota stampa, divulgata via social, assieme ad altri ritenuti allarmanti e indicativi del clima politico cittadino, tra i quali il ritrovamento di bossoli, poi risultati di una scacciacani, nei pressi di un edificio pubblico della città.
Riflessioni che vennero riprese dal quotidiano online, con annesso commento e dichiarazioni di Lodi, oltre che i suoi giudizi su Zamorani. Il primo, quindi, oltre a smentire in buona parte di quanto sarebbe avvenuto sullo scalone comunale, avrebbe definito poi il secondo “una persona squallida, “Se fino a ieri lo rispettavo adesso non è più così, è meschino e vigliacco”, avrebbe proseguito. Da qui la querela presentata da Lodi, assistito, appunto, dall’avvocato Longobucco.
Il giudice, nel dellimitare il campo della analisi da compiere, inizia distinguendo il diritto di critica da quello di cronaca, spiegando che, nel primo, a essere determinante per valutare l’esistenza della esimente, proprio perché si è nel campo della soggettività, non può essere la verità dei fatti narrati, ma, piuttosto, ci si deve concentrare sull’interesse pubblico e sociale della critica e della continenza formale.
Il ragionamento del giudice, in particolare, nell’accogliere in toto le tesi proposte dalla parte civile, prosegue spiegando che “Più in particolare la giurisprudenza di legittimità ha specificato che il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l’altro, nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti. Non si tratta, dunque, di valutare la veridicità di proposizioni assertive, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate”.
In particolare, si evidenza poi come il requisito della continenza “debba ritenersi superato quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica (vedi Cass. 20/5/2005 n. 19381; vedi anche Cass. 29/5/05 .34821, che postula ‘ il ricorso a un linguaggio corretto e scevro da polemiche personali’)”.
Il giudice, sempre in accoglienza delle argomentazioni proposte dalla parte civile, prosegue poi a elencare altri comportamenti che eccedono, secondo la giurisprudenza di Cassazione, i limiti del diritto di critica, come avviene quando l’agente “trascende ad attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, la figura morale del soggetto criticato, giacché, in questo caso, l’esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell’ambito di una critica misurata e obbiettiva, trascende nel campo dell’aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta (vedi Cass. 17/3/2000 n. 3477)”.
Lo stesso accade, prosegue il giudice, quando si sconfina nell’ “uso di argomenteum ad hominem, inteso a screditare l’avversario mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni” (vedi Cass. 7/7/98 n 7990; vedi anche Cass. 26/10/01 n. 38448).
Tirando, quindi, le fila del ragionamento, il giudice ribadisce come, ai fini di potere ritenere integrata l’esimente del diritto di critica, sia necessario che questa venga espressa con “argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti che non degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive dell’altrui reputazione, strumentalmente estese anche a terreni estranei allo specifico della contesa…, e non ricorrano all’uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive ed estranee al metodo e allo stile di una civile contrapposizione di idee, oltre che non necessarie per la rappresentazione delle posizioni sostenute e non funzionali al pubblico interesse” (vedi Cass. 24/6/05 n. 23805).
Passsando all’esame del caso concreto, il giudice ammette come la contesa si collochi, appunto, sullo sfondo di un periodo di tensioni politiche vive e forti, ma ritiene come alcuni apprezzamenti personali esulino da questo ambito. “Se tuttavia il movente politico è chiaramente comprensibile – proseguono le motivazioni della sentenza – non si ritiene che le espressioni utilizzate dall’imputato a commento delle riflessioni dell’avvesario possano ritenersi conformi ai limiti del diritto di critica come sopra delineati”.
Concesse le attenuanti generiche ed esclusa la recidiva quindi, nel processo frutto di una citazione diretta a giudizio, con conseguente rito abbreviato condizionato all’audizione dell’imputato e alla produzione di documenti, il giudice ha ritenuto congrua una pena di 300 euro di multa, con pagamento delle spese processuali.