Un primo fondamentale punto fermo è arrivato nella serata dell’11 luglio 2023. Con la lettura del dispositivo da parte della Corte di Cassazione, nel processo che faceva seguito a quello di Appello, con sentenza del 7 marzo del 2022, e a quello di primo grado, con sentenza del 29 ottobre 2019. Un dispositivo che conferma l’impianto accusatorio.
Al centro di tutto, una delle peggiori tragedie sul lavoro degli ultimi decenni in Polesine: quella avvenuta il 22 settembre del 2014, quando una nube tossica, generatasi nello stabilimento Coimpo – Agribiofert che si trova in località America, Ca’ Emo, Comune di Adria, stroncò quattro vite in pochi istanti. A quanto emerso, la nube si sviluppò mentre in una vasca di fanghi era in corso lo sversamento di acido. Le due aziende, infatti, si occupavano proprio di trattare fanghi per riutilizzarli poi come fertilizzanti in agricoltura.
Un processo che ha visto, sin dal primo grado, Lpteam presente a tutela delle parti civili costituite, con gli avvocati Cristina Guasti, Carmelo Marcello, Marco Casellato e Matteo Ceruti.
L’ipotesi di reato principale era quella di omicidio colposo, per le quattro vittime, collegata a una serie di violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro e difformità delle procedure lavorative effettivamente adottate rispetto a quelle prescritte dalle autorizzazioni; vi era poi una ipotesi di lesioni personali colpose, per un dipendente sopravvissuto, ma che aveva riportato conseguenze; e reati ambientali; infine, le emissioni maleodoranti che l’impianto avrebbe generato nel corso degli anni, con gravi fastidi per i residenti nelle vicinanze.
Sei gli imputati le cui posizioni erano all’esame della Cassazione. Per due di loro, aventi ruoli marginali nella compagine sociale delle due aziende coinvolte nella tragedia, i giudici hanno disposto l’annullamento della sentenza d’Appello, con rinvio alla Corte di secondo grado che, nel decidere nuovamente, dovrà attenersi a una serie di criteri che verranno esplicitati nelle motivazioni. Per gli altri quattro imputati, tre dei quali con ruoli di vertice nelle due società Coimpo e Agribiofert, è stata disposta la rideterminazione della pena in seguito all’intervenuta prescrizione dell’ipotesi di reato di lesioni personali, mentre, per il resto, i ricorsi delle difese sono stati rigettati.
Soddisfazione da parte degli avvocati di Lpteam che hanno seguito i vari gradi di giudizio, gli avvocati Cristina Guasti, Carmelo Marcello, Marco Casellato e Matteo Ceruti.
“L’impianto accusatorio del processo Coimpo ha retto anche a Roma – spiegano – Poco contano la prescrizione riconosciuta per il reato di lesioni personali gravissime e l’annullamento con rinvio nei confronti delle due imputate “minori”.
Con la decisione di ieri possiamo senz’altro dire che, dopo tre gradi di giudizio, il processo ha accertato che la tragedia del 22 settembre del 2014, quando persero la vita quattro lavoratori, e gli odori molesti che per anni hanno creato forti disagi ai residenti nelle vicinanze dell’impianto Coimpo-Agribiofert sono riconducibili, senza alcun dubbio, alle gravi carenze organizzative in termini di sicurezza dell’impianto imputabili agli imputati che hanno realmente gestito quell’impianto.
Nulla toglie all’affermazione di responsabilità, ormai definitiva, il rinvio ad un nuovo giudizio di appello ai fini delle quantificazione finale della pena in conseguenza della prescrizione del reato di lesioni personali gravissime.
Ciò che importa, ribadiamo, è la condanna definitiva che, vale la pena ricordarlo, è stata confermata dalla Corte di Cassazione anche in relazione ai reati ambientali per i quali la prescrizione era maturata già nel giudizio di appello ma che gli imputati volevano fosse “cancellata” per non dover pagare i risarcimenti già stabiliti dal Tribunale di Rovigo e dalla Corte d’Appello di Venezia.
A questo punto, visto che nulla di diverso in punto responsabilità potrà essere deciso nel nuovo giudizio di appello, fissato per la determinazione finale della pena comminata ai singoli condannati, ci auguriamo che questi ultimi almeno decidano di risarcire alle parti civili i danni già quantificati nei precedenti due gradi di giudizio e su cui la Suprema Corte ha ormai messo la parola “fine””.