“La parola ‘soddisfazione’, in un processo che verte su eventi tanto tragici, difficilmente può trovare spazio. Possiamo però sottolineare come, lette le motivazioni, riteniamo che sia stata ampiamente confermata, dalla valutazione del giudice, la ricostruzione che, come parti civili, abbiamo ribadito in sede di discussione”. E’ il commento alle motivazioni della sentenza Coimpo da parte degli avvocati di parte civile, ossia che tutelano le parti offese dal reato contestato agli imputati, Claudio Maruzzi di Ferrara (costituito per Massimo Grotto, lavoratore Coimpo, scampato alla strage grazie a un collega, Rossano Stocco, poi finito imputato, ma comunque autore del salvataggio); Matteo Ceruti di Rovigo (costituito per Legambiente, Wwf e numerosi privati, residenti in zona); Carmelo Marcello di Ferrara e Marco Casellato di Adria (costituiti per vari privati); Cristina Guasti di Rovigo (costituita per Italia Nostra e privati), Tutti sono componenti della rete professionale Lpteam.

Al centro del processo, la tragedia verificatasi nel sito produttivo di Ca’ Emo, località America, dove lavoravano Coimpo e Agribiofert, aziende specializzate nella ricezione e nel trattamento di fanghi e residui simili, che avrebbero dovuto essere trattati come da autorizzazioni ricevute per ricavarne fertilizzante. Qui, il 22 settembre del 2014, un nube tossica, generatasi durante il trattamento dei rifiuti, uccise quattro persone. Tre lavoratori del sito e l’autotrasportatore che aveva appena consegnato la cisterna di acido solforico sversato nella “famigerata” Vasca D, dalla quale si levò la nube mortale.

Il 29 ottobre scorso, per questo procedimento, sono arrivate le condanne, in primo grado, pronunciate da parte del giudice Nicoletta Stefanutti, per i vertici aziendali e societari delle due realtà produttive. 

“Le motivazioni parlano di una tragedia frutto di prassi lavorative scorrette, difformi dalle autorizzazioni, figlie di una gestione approssimativa e attenta solo al profitto – spiegano gli avvocati – che trascuravano le cautele a garanzia dei lavoratori che invece avrebbero potuto impedire la tragedia. Tragedia che, come confermato dal giudice, era del resto ampiamente prevedibile: non era un mistero, cosa si rischiasse, immettendo acidi in quella vasca, nella quale confluivano rifiuti di varia natura, ma sicuramente a ricco tenore di solfuri. Anche un chimico appena diplomato avrebbe saputo descrivere l’esito di una reazione simile. Nonostante questo, la tragedia si è consumata e sono morte quattro persone”.

“In parole povere – prosegue l’analisi delle parti civili – quella vasca, a cielo aperto, un unicum a livello nazionale, sarebbe stata gestita, secondo il giudice e secondo noi, in maniera superficiale, omettendo i necessari processi, limitandosi a scaricare e miscelare rifiuti. Qui, in questo ‘calderone’ venne poi sversata una quantità massiccia di acido solforico. L’esito era ampiamente prevedibile, ma si procedette comunque, con le conseguenze che abbiamo visto”.

“Non solo – chiudono gli avvocati – la sentenza va oltre, evidenziando come questa prassi produttiva, attenta unicamente alla spregiudicata massimizzazione del profitto, più che alla legalità e alla sicurezza sul lavoro e alla salvaguardia dell’ambiente, sia proseguita anche all’indomani delle quattro morti. E conferma le lamentele che, da anni, inascoltati, i residenti nelle vicinanze indirizzavano alle istituzioni: odori insopportabili, frutto di emissioni in atmosfera che, incredibilmente, avvenivano in assenza di autorizzazione alle emissioni”.

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