E’ stata aggiornata al prossimo 30 novembre l’udienza preliminare in corso a Vicenza sul caso Pfas. Questo alla luce della richiesta della Procura di riunire i due procedimenti aperti sulla vicenda: quello per i reati fino al 2013 e quello, successivo, per i reati ambientali (oltre a Pfas ci sono GenX e C6o4) dal 2013 al 2017. Sulla richiesta, non sono mancate le eccezioni sollevate dalle difese.
Il procedimento penale, che ha avuto enorme eco mediatica, è quello relativo alle sostanze che avrebbero avvelenato l’acqua di una delle falde idriche più grandi d’Europa nelle province di Vicenza, Verona e Padova, provenienti da una azienda di Trissino. Procedimento penale che coinvolge 13 imputati e l’azienda Miteni.
Un caso che ha avuto, appunto, rilevanza nazionale e per il quale l’udienza preliminare è in corso in Tribunale a Vicenza, con richiesta di unificazione col successivo filone. Nel primo, le accuse ipotizzate sono pesanti: disastro e avvelenamento delle acque. Quest’ultima fattispecie prevede, in caso di rinvio a giudizio, la competenza della Corte d’Assise. E’ uno dei processi di maggiore importanza a livello nazionale attualmente in corso. Secondo la tesi accusatoria, residui di lavorazione dell’azienda sarebbero filtrati sino a portare all’avvelenamento della falda acquifera.
Numerose le parti civili costituitesi e ammesse, nel corso dell’udienza dello scorso 20 gennaio: in primo luogo 95 persone offese, sia le Mamme No Pfas, in rappresentanza dei figli, sia altri genitori che, pur non facendo parte dell’associazione, sono comunque preoccupati per i figli minori, per quelli che potrebbero essere su di loro gli effetti a lungo termine di questi inquinanti penetrati nella rete idrica: tutte persone residenti nella “zona rossa” di maggiore contaminazione che si sono sottoposte allo screening con esiti di contaminazione del sangue ai Pfas. A rappresentarli gli avvocati Cristina Guasti e Matteo Ceruti, di Rovigo, e Marco Casellato di Adria.
Una decisione, quella di procedere verso la riunificazione, che ha incassato l’assenso anche dell’associazione ambientalista Legambiente.
“Un’impostazione che condividiamo e che ci soddisfa per il metodo adottato dai PM – commenta Luigi Lazzaro presidente di Legambiente Veneto – perché solo allargando lo sguardo sull’insieme dei reati, ante e post 2013, si potrà dimostrare la gravità dell’inquinamento contestato agli imputati. Dato che ci troviamo di fronte ad un ‘disastro ambientale’ riteniamo sia necessario contestare in modo più incisivo i reati ambientali applicando la Legge 68 del 2015 sugli Ecoreati per dare risposte concrete ad un danno ambientale che ad oggi non ha precedenti nella storia del nostro Paese”.