“Una volta che gli operanti abbiano dato atto nel verbale di aver rinvenuto il denaro ed indicato il numero, il taglio delle banconote e le modalità di detenzione, nessuna ulteriore utilità probatoria può avere (salvo casi particolari, che non pare ricorrano nella fattispecie) il sequestro delle stesse”.
E’ uno dei passaggi chiave dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Ferrara che, accoglie il ricorso presentato dall’avvocato Pasquale Longobucco, dello studio Mgtm Avvocati Associati di Ferrara, componente delle rete professionale Lpteam, assieme alla collega Alessandra Palma, del foro di Ferrara, contro il decreto della Procura del 7 agosto scorso di convalida della perquisizione e del sequestro operato dalla pg. Il tutto, all’interno di un procedimento per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, che aveva visto gli operanti, secondo le contestazioni, trovare, nell’abitazione dell’indagato, stupefacente, un bilancino e 10mila euro in contanti.
“Quanto sequestrato – scrive la Procura nel decreto di convalida – era corpo o cosa pertinente al reato, il cui mantenimento in sequestro era necessario per ulteriori indagini, finalizzate in particolare agli accertamenti investigativi, quanto alla ricostruzione del fatto e natura della droga”.
Contro questa impostazione, appunto, il ricorso del difensore, limitato al sequestro dei contanti. Accolto, come detto, dai giudici del Riesame.
“La droga nonché il bilancino rinvenuti nell’abitazione – scrivono, infatti, nella propria ordinanza – sono tutti beni qualificabili quali corpo di reato, come tali da mantenere in sequestro. Difetta – per converso – la sussistenza della necessaria finalità probatoria del vincolo apposto alla somma anzidetta, con l’effetto che il riesame deve essere accolto nei limiti indicati dal difensore e segnatamente con riferimento alla convalida del sequestro della somma di denaro, rispetto al quale non sussistono elementi indiziari che univocamente ne sostengano la provenienza diretta quale provento del reato di spaccio, come tale suscettibile di confisca. Nessuna finalità probatoria è stata indicata dal pm e ad ogni buon conto l’eventuale accertamento della provenienza del denaro è prova che può essere raggiunta anche in assenza di un provvedimento ablatorio della res”.
Viene anche ribadito, nell’ordinanza, come ormai l’orientamento della Cassazione sia ormai consolidato, su questo punto, come emerge da Cass, n. 19771/2009, secondo cui “Una somma di danaro, qualificata come corpo del reato di traffico di stupefacenti, ai sensi dell’art. 253 c.p.p., non può essere sottoposta a sequestro per esigenze probatorie, in quanto la prova del reato non discende dalla ‘res’ sequestrata, ma dagli atti di indagine circa il suo rinvenimento”.
I giudici proseguono poi ricordando come una eventuale carenza delle motivazioni del provvedimento del pm non possa essere “risolta” dal Riesame.
“Si ricorda infine – prosegue la loro esposizione – che il Tribunale del Riesame a fronte di una motivazione carente non ha la possibilità di integrarla autonomamente, Sez. 5, Sentenza n. 13917 del 23/03/2015 Cc. Rv. 263272: ‘in tema di sequestro probatorio, il Tribunale del Riesame deve verificare l’effettività e la completezza della motivazione del provvedimento impugnato senza tuttavia poterla inteqrare autonomamente, atteso che il difetto di questa costituisce vizio genetico che comporta l’originaria nullità del provvedimento”.