Non è possibile ipotizzare il reato di maltrattamenti in famiglia, laddove non vi sia famiglia, intesa perlomeno come una relazione stabile. Un principio ribadito dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rovigo, nel decreto che dispone l’archiviazione, in accoglimento della richiesta formulata dalla Procura, anche sulla base anche delle indagini difensive condotte dall’avvocato Marco Casellato di Rovigo, componente della rete professionale Lpteam.
Teatro dei fatti sarebbe stato principalmente il Bassopolesine, in un arco temporale dal 2019 al momento della denuncia, il 2021. Secondo la querelante, la tormentata relazione con un coetaneo, al quale era stata legata durante l’adolescenza, per poi ritrovarlo in età adulta quando il rapporto si riaccese, sarebbe stata costellata da offese, pressioni indebite, scenate, anche episodi di vera e propria violenza, come un pugno all’orecchio. Da qui la denuncia alla Procura.
Le indagini difensive, tuttavia, basate sull’audizione di varie persone che conoscevano i due, tra i quali il parroco del paese, con il quale la presunta vittima si confidava, avrebbero consentito di portare alla luce una verità decisamente differente. In primo luogo, infatti, sarebbe emerso come tra vittima e presunto maltrattatore non vi sarebbe mai stata una relazione stabile, né, a maggior ragione, una convivenza. Inoltre, nessuno sarebbe stato a conoscenza di episodi di violenza. Conclusioni sovrapponibili a quelle ottenute dai riscontri della Procura, che ovviamente non si è basata unicamente sull’attività difensiva, ma ha condotto tutti gli approfondimenti del caso.
Da qui la richiesta di archiviazione del sostituto procuratore e la decisione del giudice per le indagini preliminari che, accogliendola, ha anche ritenuto di precisare come, a suo avviso, non solo non sussista la fattispecie del 572 c. p., ma neppure quella del 612 bis c. p.
“Così brevemente riassunti gli atti di indagine – scrive infatti il giudice per le indagini preliminari nel decreto che dispone l’archiviazione – si ritiene non configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia poiché non sono emersi elementi univoci non solo di una stabile relazione o convivenza tra le parti, ma anche e soprattutto del fatto che tra i due si sia instaurato un rapporto sentimentale abituale, tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale. L’indagato, infatti, non ha mai inteso (da quello che sembra risultare dalle sit) avviare un progetto di vita basato sui predetti valori con la querelante, come dimostra il fatto, ad esempio, di non avere mai preso in affitto un appartamento solo per loro due. O come confermano le s.i.t. di (…) più volte aveva detto di non volere un rapporto, tantomeno stabile, con la querelante.
Ciò si ritiene, anche, tenuto conto anche della giurisprudenza in materia secondo la quale “ai fini della configurabilità, nell’ambito delle relazioni interpersonali non qualificate, del reato di maltrattamenti in famiglia, i concetti di famiglia e di convivenza vanno intesi nell’accezione più ristretta, presupponente una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela, o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continua (cfr. Cass. Pen., Sez. VI. n. 9663/2002). In merito vi sono dichiarazioni discordanti sull’esistenza o meno di una relazione sentimentale o di una convivenza. Inoltre, si fa rilevare come non siano emerse prove a sostegno dell’abitualità della condotta dell’indagato, altro elemento necessario per la sussistenza del reato e, quindi, non si può stabilire con quale frequenza siano avvenuti i presunti maltrattamenti né in quale arco temporale”.