Potrà – e dovrà – essere il giudice ordinario italiano, in particolare il Tribunale civile di Roma, avanti il quale il giudizio è pendente, a valutare se, con la propria condotta e le proprie politiche aziendali, Eni Spa abbia disatteso gli accordi e le linee guida internazionali in materia di contenimento del cambiamento climatico e dei suoi effetti; e, se sì, a disporre un risarcimento dei danni per la lesione di diritti umani fondamentali alla salute e alla vita privata in favore dei ricorrenti, ossia Greenpeace Onlus e Recommon Ets, oltre ad un gruppo di privati residenti in aree del Paese particolarmente esposte ali effetti dell’emergenza climatica.
Decidendo il regolamento di giurisdizione l’ordinanza emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 21 luglio 2025 n. 20381, per la prima volta ha ammesso in Italia una azione di “climate change litigation”, una tipologia di contenzioso strategico già diffusa in altre nazioni, ma che grazie a questa pronuncia si affaccia ora nel panorama giuridico italiano.
Tra i legali dei ricorrenti l’avvocato Matteo Ceruti di Rovigo, promotore della rete professionale Lpteam.
A venire convenuti in giudizio non solo Eni Spa, ma anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti, in quanto azionisti di controllo di Eni e, di conseguenza, secondo la ricostruzione dei ricorrenti, dotati di una sufficiente influenza per indirizzare la politica aziendale e la composizione degli organi decisionali del colosso energetico nazionale.
In particolare, gli attori nel 2023 hanno convenuto in giudizio Eni, Ministero e Cassa, dinanzi al Tribunale di Roma per sentirne accertare l’inottemperanza agli obblighi inerenti al raggiungimento degli obbiettivi climatici internazionalmente riconosciuti e la responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati dal cambiamento climatico, con la conseguenze condanna dell’Eni alla limitazione del volume annuo aggregato delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera derivante dalle attività industriali e commerciali.
Nel costituirsi in giudizio, i convenuti hanno tuttavia sollevato tre eccezioni principali: la non giustiziabilità della pretesa azionata, in quanto incompatibile con il proprio diritto di determinare liberamente la propria politica aziendale tutelata dall’articolo 41 della Costituzione; quindi il difetto assoluto di giurisdizione, avendo la domanda ad oggetto l’adozione di misure che presuppongono valutazioni di natura politico – legislativa, spettanti al Parlamento e al Governo; infine, il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana in relazione alle emissioni climalteranti delle società estere controllate da Eni.
Di qui il ricorso per regolamento di giurisdizione proposto dagli attori alle Sezioni Unite della Cassazione civile per risolvere le questioni sollevate da Eni e dagli altri convenuti.
La Suprema Corte ha dichiarato giustificata l’utilizzazione del predetto strumento giuridico “in considerazione della novità delle questioni (inerenti non solo alla giurisdizione, ma anche al merito) suscitate dalla domanda proposta dagli attori, relativamente alle quali non si riscontrano precedenti nella giurisprudenza di legittimità”.
Entrando quindi nel merito della questione la Cassazione esclude perentoriamente che ricorra il difetto assoluto di giurisdizione, lamentato dai convenuti, in quanto “gli attori non fanno valere una responsabilità dello Stato legislatore per ‘atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione, indubbiamente emergenziale, del cambiamento climatico antropogenico’, ma una responsabilità dei convenuti, quali soggetti operanti direttamente o indirettamente nel settore della produzione e distribuzione dei combustibili fossili, per la mancata adozione delle misure necessarie a ridurre le emissioni climalteranti. In quest’ottica, deve innanzitutto escludersi che il sindacato sollecitato al Giudice di merito comporti un’invasione della sfera riservata al potere legislativo”.
Per quanto riguarda poi il supposto difetto di giurisdizione del Giudice italiano, anch’esso viene respinto in quanto gli attori non hanno inteso far valere la responsabilità delle società controllate dall’ENI aventi la loro sede in altri Paesi ed operanti al di Tuori del territorio italiano, ma “una responsabilità della società controllante per l’attività svolta dall’intero gruppo ad essa facente capo, ricollegabile alla mancata adozione di una strategia industriale e commerciale idonea a garantire la riduzione delle emissioni anidride carbonica nell’atmosfera”.
Il tutto soggiungendo che “Ai fini dell’applicazione dei predetti criteri di collegamento, occorre poi considerare che le emissioni climalteranti, pur avendo la loro origine nel luogo in cui si svolgono la produzione, il trasporto e la commercializzazione dei combustibili fossili, hanno una portata naturalmente diffusiva, estendendo i loro effetti all’intera atmosfera terreste, nell’ambito della quale si determina l’incremento della temperatura globale che produce il cambiamento climatico; la lesione del diritto alla vita ed alla vita privata e familiare allegata a sostegno della domanda si verifica invece nel luogo in cui gli attori risiedono”.
La conclusione dei supremi giudici, alla luce di tutti questi argomenti, è chiara: “La competenza giurisdizionale dev’essere assegnata all’Autorità giudiziaria italiana”.
L’ordinanza della Suprema Corte, nel riconoscere la giustiziabilità nel nostro Paese delle azioni legali strategiche di “climate change”, si inscrive nel novero delle principali pronunce giurisdizionali emesse in materia, tra cui la sentenza del 2020 della Corte Suprema olandese (nella causa proposta dall’associazione Urgenda), la decisione della Corte Costituzionale tedesca del 2021 (che ha dichiarato l’incostituzionalità delle legge federale sul clima), la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2024 (sull’azione proposta dalle anziane signore svizzere).
L’ordinanza delle Sezioni Unite è stata seguita un paio di giorni dopo dal deposito dell’importante parere del 23 luglio 2025 con cui la Corte Internazionale di Giustizia con sede all’Aja ha chiarito che gli stati sono giuridicamente tenuti a ridurre le emissioni di gas serra e a risarcire coloro che già ne subiscono le conseguenze.
Per questi motivi il deposito della decisione delle Sezioni sta avendo una importante eco sulla stampa italiana e straniera. Tra gli altri si rinvia all’articolo del compianto prof. Vladimiro Zagrebesky su La Stampa del 6 agosto 2025 e al pezzo pubblicato sul N.Y.T. del 23 luglio 2025, nonché alla breve intervista dell’avv. Matteo Ceruti sul Radio 24 del 24 luglio u.s.