La criticità della contaminazione da Pfas della falda acquifera, nel Comune di Trissino, nel Vicentino – problematica che poi si è estesa, purtroppo, ben oltre i confini comunali interessando un vasto territorio delle province di province di Vicenza, Verona e Padova – a seguito dell’attività dello stabilimento Miteni, era forse già nota nel 2005, quando l’azienda stessa richiese al Genio civile di potere procedere al potenziamento di una rete di pozzi esterni. Una sorta di “barriera contenitiva” la cui necessità induce a  ritenere che si fosse già a conoscenza dell’emissione di inquinanti, senza che tuttavia fosse comunicati agli enti competenti.

E’ una novità emersa nel corso del maxi processo in corso di fronte alla Corte d’Assise di Vicenza, all’esito dell’audizione di Vincenzo Restaino, a capo della locale sezione Arpav dal 2010 al 2014. Una audizione avvenuta nel corso dell’udienza dello scorso 2 dicembre.

Un aspetto sul quale hanno insistito molto le parti civili, in particolare l’avvocato Matteo Ceruti, promotore della rete professionale Lpteam, che, assieme ai colleghi Cristina Guasti e Marco Casellato, componenti della rete, assiste le mamme no Pfas. Ossia, mamme, ma non solo, in generale persone residenti nella zona rossa, che si sono sottoposte al biomonitoraggio, con esiti purtroppo positivi, ossia con il rilevamento di concentrazioni di Pfas nel sangue superiore ai valori di riferimento, in determinati casi con patologie secondo la letteratura correlabili con l’esposizione a Pfas.

In particolare, la questione emerge nel corso dell’esame di Restaino su una nota del 7 aprile del 2005 di Miteni con la quale Miteni comunica al competente Genio civile la realizzazione di pozzi di captazione dalla falda idrica per un utilizzo dell’acqua all’interno dello stabilimento, quando invece una relazione tecnica spiega le reali finalità di questa barriera di contenimento dell’inquinamento. In buona sostanza, un tentativo (evidentemente non riuscito) di contenere la contaminazione del sito  molto precedente al barrieramento che venne poi ufficialmente  attivato solo nel 2013.

Il dirigente Arpav spiega poi di avere avuto contezza di questo documento   unicamente in seguito all’avvio dell’indagine da parte dei carabinieri del Noe. Alle domande della parte civile, risponde che, a suo avviso, questa comunicazione non sarebbe stata indirizzata a tutti i soggetti istituzionali interessati: “Credo che ne manchino un bel po’, se l’idea o l’intenzione era quella di denunciare una eventuale presenza di contaminazione con attivazione di misura di messa in sicurezza gli enti sono Comune, Provincia, Prefettura, se non ricordo male, Arpav, ma non vedo né l’Arpav, né il Comune, né la Prefettura né la Provincia”.

Non meno significativa, nel corso dell’udienza precedente, quella del 25 novembre era stata, anche la deposizione di Stefano Polesello, il coordinatore della squadra del Cnr che, tra 2011 e 2013, con le proprie ricerche aveva fatto emergere il problema dell’inquinamento da Pfas nelle acque del territorio delle province di Vicenza, Padova e Verona. Proprio Polesello ha spiegato come, a suo avviso, l’immissione di Pfas risalirebbe ad almeno 10 anni fa.

Non è l’unica circostanza importante che emerge dalla sua deposizione.

Proprio rispondendo alle domande dell’avvocato Ceruti, infatti, Polesello spiega che, dopo l’accesso del 5 maggio 2011, non ne vennero fatti altri. Ma che, nel 2021, visto che il campione era ancora utilizzabile, alla luce delle nuove conoscenze sul caso, vennero fatte delle nuove analisi su quei campioni ricercando anche altre sostanze tra cui i Pfas “a catena corta”. Con esito positivo.

“Allora – spiega infatti il teste – analizzammo 12 sostanze, però dopo tanti anni abbiamo provato a fare la ricerca di altre sostanze, tra cui il C6O4 e il C6O4 è risultato presente in quantità pari, pari al PFOA insomma, alla stessa quantità del PFOA”.

Gli imputati sono in tutto 15, i vertici delle aziende ritenute coinvolte nell’inquinamento da Pfas. Il dibattimento in corso è il frutto della riunione di due indagini, disposto dal giudice in sede di udienza preliminare. In particolare, il filone principale è quello che riguarda la contaminazione da Pfas a catena lunga (Pfoa e Pfos) che sarebbe avvenuta sino al 2013. Il secondo filone, invece, riguarda la contaminazione da Pfas a catena corta (GenX e C6O4) dal 2013 al 2017. In questo secondo filone sono ipotizzati anche reati fallimentari, ossia relativi all’ipotesi di bancarotta, che vanno quindi ad aggiungersi a quelle di disastro, inquinamento ambientale e avvelenamento delle acque. Quest’ultima fattispecie prevede la competenza della Corte d’Assise, davanti alla quale è appunto aperto il dibattimento.

Il dibattimento riparte, con l’esame di nuovi testi della Procura della Repubblica, il 27 gennaio prossimo.

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