Il provvedimento di sequestro probatorio deve sempre indicare la pertinenza di quanto sequestrato rispetto ai fatti reato ipotizzati e per i quali si procede, oltre alle finalità che vengono perseguite, dal punto di vista probatorio, con il sequestro stesso.
Un principio più volte ribadito dalla Cassazione e invocando il quale l’avvocato Pasquale Longobucco, componente dello studio Mgtm Avvocati Associati di Ferrara, che fa parte della rete professionale Lpteam, ha ottenuto una importante pronuncia da parte del Tribunale del Riesame di Ferrara.
La vicenda nasce nell’ambito di una indagine per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio – questa l’ipotesi di reato della Procura – che ha condotto alla perquisizione e al sequestro, a carico dell’indagato, di sostanze stupefacenti di vario tipo, due bilancini di precisione e un telefono cellulare I Phone 15. Lo scorso 5 giugno, la difesa, invocando il principio di cui si è detto, è riuscita a ottenere l’annullamento del sequestro dello smartphone.
Tra gli argomenti addotti, appunto, la mancata motivazione delle finalità che venivano perseguite, in ordine alla prova dei fatti per i quali si procede, tramite il sequestro del cellulare. Finalità che, come ribadiscono anche i giudici nelle motivazioni della decisione del Riesame, non possono essere meramente “esplorative”.
“Deve sottolinearsi – scrivono infatti i giudici del Riesame – come il provvedimento debba contenere l’indicazione della pertinenza di quanto sequestrato rispetto ai fatti reato per cui si procede, nonché le esigenze probatorie perseguite attraverso l’apposizione del vincolo cautelare reale sui beni”.
“In tal senso – proseguono ancora i giudici – l’orientamento di legittimità ha invero affermato che il decreto di sequestro così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato – deve contenere necessariamente una motivazione anche concisa in ordine al presupposto della finalità di accertamento degli illeciti, che dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. In altri termini affinché il decreto di sequestro sia legittimo, non è sufficiente qualificare i beni sottoposti a vincolo come “corpo del reato”, rendendosi necessaria l’indicazione dei motivi in ordine alle esigenze probatorie perseguite nel caso di specie. Ancora: il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo del reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione che non si deve limitare ad indicare le disposizioni di legge violate, ma deve comprendere anche l’individuazione della relazione tra la cosa sequestrata ed il delitto ipotizzato, descrivendo gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto”.
“Solo in tal modo è possibile – recitano ancora le motivazioni – una verifica del nesso di pertinenza probatoria tra la condotta criminosa e la res, nonché dei motivi sottesi all’imposizione del vincolo cautelare, sì da evitare che il mezzo di ricerca della prova venga utilizzato per finalità meramente esplorative non consentite dalla legge”.
Nel caso in questione, questo requisito, per quanto riguarda il sequestro dello smartphone, non sarebbe stato soddisfatto. “Tanto premesso nell’impugnato provvedimento non è definita la relazione tra i beni da vincolare (il telefono) e l’ipotesi accusatoria, di talché la motivazione dell’impugnato provvedimento ‘sequestro delle cose costituenti corpo del reato, ovvero pertinenti al reato” risulta essere apparente, attagliandosi al più implicitamente ai bilancini, la cui strumentalità rispetto alla creazione di dosi in un procedimento ex art. 73 dpr n. 309/90 risulta evidente. Altrettanto non può dirsi rispetto al telefono, riguardo al quale non si rinviene alcun principio di motivazione – oltre a quanto già riportato – circa la relazione tra la res e il fatto ipotizzato”.
Da qui l’accoglimento del ricorso, limitatamente al telefono, con annullamento del provvedimento di sequestro e restituzione del bene.