Nel corso della vita della società può accadere che, per inconciliabili divergenze sulle politiche gestorie o per sopraggiunte conflittualità, la maggioranza decida di escludere un socio.

Ad affrontare la tematica, l’avvocato Mario Martinelli e il collega Francesco Pocorobba, dello Studio Legale GBMR, della rete professionale Lpteam.

È necessario preliminarmente evidenziare che l’ordinamento prevede due tipi di esclusione, una disciplinata dalla legge ed una prevista dallo statuto.

L’esclusione legale, disciplinata dall’art. 2466 c.c., si applica indistintamente a tutte le S.r.l. e prevede la possibilità di escludere il socio che non abbia versato i conferimenti dovuti. Tale ipotesi di esclusione non opera automaticamente, bensì è sottoposta ad una specifica procedura descritta dallo stesso articolo. Invero la società deve preliminarmente diffidare il socio moroso a versare quanto dovuto nel termine di 30 giorni. Decorso infruttuosamente il termine, gli amministratori sono chiamati a proporre agli altri soci l’acquisto della quota del socio inadempiente e, qualora nessuno di essi intenda acquistarla, possono venderla all’incanto. Solo dopo aver esperito tale ultimo tentativo è possibile escludere il socio moroso riducendo il capitale sociale della misura corrispondente.

L’esclusione pattizia, invece, è stabilita per volontà dei soci e deve essere prevista specificamente dallo statuto. L’art. 2473 bis c.c., pur permettendo di individuare autonomamente le ipotesi di esclusione dei soci, assoggetta tale facoltà a specifici requisiti, ovverosia l’aderenza alle ipotesi di giusta causa – assicurando in tal modo la previsione di sole cause meritevoli di tutela – e la specifica determinazione delle condotte censurabili – evitando il rischio che l’indeterminatezza della fattispecie possa integrare comportamenti abusivi.

I consociati, pertanto, devono esercitare il potere di escludere un socio sempre nell’osservanza dei principi di buona fede e correttezza: saranno pertanto sanzionate con la nullità non solo le clausole generiche o indeterminate ma anche quelle suscettibili di applicazione nei confronti di un singolo socio. Dalle pronunce giurisprudenziali si possono ricavare numerosi esempi di clausole ritenute nulle per difetto di specificità, come quelle che prevedono l’esclusione del socio che si sia reso “colpevole di gravi inadempienze Statutarie”, in quanto non individua nel dettaglio la condotta idonea a comportare l’esclusione.

Le clausole di esclusione più comuni, invece, sono quelle legate alla condanna del socio in sede penale per particolari reati, all’inosservanza del divieto di concorrenza o alla perdita di requisiti professionali come l’iscrizione ad albi o elenchi.

In conclusione, lo strumento in esame è di indubbia utilità in quanto idoneo ad adattarsi alle diverse esigenze delle società, che potrà in tal modo tutelarsi dalle condotte sconvenienti poste in essere dei soci; d’altro canto i benefici di tale disposizione si estendono anche a questi ultimi, in quanto consentono di conoscere ex ante le conseguenze del proprio comportamento. È tuttavia necessario prevedere specificamente le ipotesi di esclusione ed assicurarsi della meritevolezza della loro tutela affinché non si incorra in cause di nullità.

 

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