Il presente parere, redatto dall’avvocato Mario Martinelli e dal collega Francesco Pocorobba, intende approfondire la vexata quaestio sui termini per la notifica della contestazione disciplinare al lavoratore dipendente. Tale termine assume particolare rilevanza nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro, in quanto incide in maniera sostanziale sul potere sanzionatorio datoriale e ne limita la portata.
D’altro canto, non prevedere alcun limite entro cui esercitare tale potere esporrebbe al rischio, da un lato, che il lavoratore possa essere sanzionato anche anni dopo aver tenuto un comportamento censurabile; dall’altro che di tale potere possa esserne fatto un uso improprio da parte del datore di lavoro, producendo effetti intimidatori.
Nonostante ciò, né il Codice Civile né lo Statuto dei Lavoratori prevedono un termine preciso entro cui contestare l’addebito al lavoratore.
Alcuni principi fondamentali sono tuttavia rinvenibili nello statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), che impone due precetti al datore che abbia intenzione di formulare una contestazione al lavoratore:
1. Che la contestazione sia portata a conoscenza del lavoratore per iscritto – salvo richiami verbali per fatti di lieve entità – e che contenga le specifiche circostanze ad esso imputabili;
2. Che al lavoratore venga assicurata la possibilità di difendersi dalle accuse che gli sono rivolte.
Non solo. Analoghe prescrizioni sono state elaborate dalla giurisprudenza, che da anni ritiene che la contestazione al lavoratore non possa prescindere da 2 ulteriori requisiti indispensabili, corollari dei più ampi principi di correttezza e buona fede, ossia immediatezza e immutabilità.
Il senso letterale del primo avverbio parrebbe imporre al datore di lavoro una contestazione istantanea, ossia non appena si è verificato il fatto; tuttavia, è necessario mitigare tale interpretazione, contemperandola all’esigenza del datore di disporre di qualche tempo per approfondire la questione e vagliarne la fondatezza e la gravità a seconda del caso concreto. Inoltre, paradossalmente, il datore potrebbe venire a conoscenza della condotta anche giorni o settimane dopo che questa si è consumata: si pensi ad unità di lavoro composte da centinaia di lavoratori, le cui inadempienze vengono riportate al datore da responsabili o interposti solo dopo averle raccolte.
Intuendo l’esigenza di chiarezza sul punto, la giurisprudenza di Cassazione è intervenuta per sciogliere i dubbi relativi all’avverbio “immediatamente”, che deve intendersi “in senso relativo”.
La recente ordinanza n. 7467/2023 infatti, ha ribadito che l’immediatezza della contestazione debba valutarsi “con riguardo all’epoca in cui [il datore] abbia acquisito piena conoscenza [della condotta]”, e non quando questa è stata posta in essere.
Ciò significa che il datore, per essere ritenuto in buona fede, dovrà contestare l’addebito non appena venga a conoscenza della condotta (quindi IMMEDIATAMENTE in senso relativo).
Pur considerando l’elasticità temporale data dal caso concreto, è buona regola per il datore – salvo casi di particolare complessità – non lasciar trascorrere oltre 8/15 giorni dal fatto, inteso come fatto conosciuto dallo stesso.
È altrettanto vero che il lavoratore può difficilmente conoscere il momento preciso in cui il datore è venuto a piena conoscenza del fatto da contestare, e che, conseguentemente, un fatto conosciuto anche a distanza anche di anni potrà sempre essere immediatamente contestato a partire dalla data di conoscenza da parte del datore.
Per questa ragione, di regola, neppure i CCNL indicano espressamente i termini entro cui contestare l’addebito.
La violazione di tale termine, tuttavia, ha rilevanti conseguenze: le Sezioni Unite di Cassazione, infatti, hanno stabilito che all’ingiustificato e notevole ritardo nella contestazione disciplinare – in quanto lesivo del diritto di difesa del lavoratore – possa essere applicata analogicamente la sanzione prevista dall’art. 18 comma 5 dello Statuto dei Lavoratori, la quale prevede che il Giudice possa condannare “il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità […].