Il difficile equilibrio tra il migliore interesse del minore e i principi dell’ordine pubblico alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali.

Un tema di assoluta attualità, quello sul quale interviene l’avvocato Cristina Guasti, componente della rete professionale Lpteam, assieme alla collega Gina Cappato.

A seguito dell’avvento della l. 40/2004, è possibile ricorrere in Italia alla procreazione medicalmente assistita (p.m.a.). Tuttavia, per scelta discrezionale del legislatore, il quale ha voluto   disciplinare tale fattispecie in modo che fosse riprodotto il modello familiare caratterizzato dalla presenza di un padre e di una madre, a tale tecnica possono accedere solo coppie di sesso diverso affette da un’infertilità patologica.

Da ciò si deduce che le coppie same sex, stante anche il divieto di fecondazione eterologa e di maternità surrogata, non possono dar vita al loro progetto genitoriale facendo ricorso in Italia alle tecniche di p.m.a.

Tale divieto spinge le coppie omoaffettive a rivolgersi a strutture sanitarie estere, in Paesi nei quali sia consentita la p.m.a. anche a coppie omosessuali, dando così vita al cosiddetto fenomeno del “turismo procreativo”.

Una volta, però, che il bambino, frutto di un progetto condiviso della coppia same sex, è nato, si pongono non pochi problemi in tema di riconoscimento della genitorialità da parte di chi di fatto si stia occupando del minore ed abbia instaurato con il medesimo un legame affettivo, posto che in Italia la genitorialità omoaffettiva non è contemplata e non trova una sua compiuta disciplina. Stante la lacuna normativa, posto che è necessario tenere conto di tuti gli interessi in causa, fra i quali primeggia il diritto del minore alla propria identità e a veder riconosciuto giuridicamente un legame che nei fatti esiste già, la Corte Suprema di Cassazione e la Corte Costituzionale si sono più volte espresse.

Le eventualità che si vengono a creare sono sostanzialmente due. Occorre, infatti, distinguere il caso in cui il minore è nato in Italia, con conseguente richiesta di formazione dell’atto di nascita davanti all’Ufficiale di Stato di civile italiano, da quello in cui si chieda la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero indicante quali genitori due persone dello stesso sesso. Tale ultima eventualità va poi analizzata con una diversa prospettiva assiologica a seconda che la coppia sia formata da due donne o da due uomini.

Circa la prima evenienza, la Cassazione, anche recentemente (cass. 22179/2022), ha ribadito la legittimità del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di redigere un atto di nascita di un minore nato in Italia indicante quali genitori due persone dello stesso sesso, dal momento che è madre del minore solo la donna che lo ha generato (art. 30 dpr 396/2000),  né può essere estesa in via analogica alle coppie same sex la legge sulla p.m.a., la quale, allo stato dei fatti, mira a eliminare i casi di infertilità patologica e non fisiologica. In questo caso, la madre intenzionale, che ha condiviso il progetto genitoriale con la propria compagna gestante, può unicamente ricorre al Tribunale per i Minorenni per ottenere una sentenza di adozione ex art. 44 lett d) l. 184/1983 (ipotesi residuale di adozione in casi particolari), salvaguardando così il diritto del minore a vedere riconosciuto giuridicamente un legame che di fatto si è già realizzato.

Diversa è la prospettiva nella fattispecie in cui vi siano profili di internazionalità, come nel caso in cui il minore sia nato all’estero ma risieda in Italia e si chieda, pertanto, la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero indicante due genitori dello stesso sesso.

L’art 18 del d.p.r. 396/2000 precisa, infatti, che l’unico limite posto alla trascrizione degli atti esteri è dato dall’ordine pubblico. A tal proposito, la Cassazione (Cass. 19599/2016) ha specificato che non è contrario all’ordine pubblico un atto di nascita redatto all’estero secondo la legge del Paese di provenienza in cui vengano contemplate due madri. La genitorialità omoaffettiva, pur non essendo disciplinata compiutamente dall’ordinamento, non è vietata dalla Costituzione, è anzi indirettamente tutelata a partire dall’art. 2 cost, il quale salvaguarda gli interessi delle formazioni sociali.

Inoltre, il divieto di fecondazione eterologa,  tecnica alla quale inevitabilmente la coppia formata da due donne deve ricorre per poter ottenere il gamete maschile, è sanzionato in Italia solo per il tramite di una sanzione amministrativa e non penale. A ciò poi si aggiunga che tale divieto, a seguito della sentenza Corte Costituzionale n. 162 del 2014, non è più assoluto, con conseguente venir meno della sua stretta cogenza.

Alla trascrivibilità dell’atto di nascita estero indicante due madri quali genitori, si contrappone però l’impossibilità di procedere alla trascrizione del medesimo atto nel caso in cui vengano menzionati due padri. La giurisprudenza registra infatti in questa fattispecie un ostacolo dettato dall’ordine pubblico. La coppia formata da due uomini, per dar corso al proprio progetto di genitorialità condivisa deve inevitabilmente ricorrere alla gestazione per altri (g.p.a.), detta anche maternità surrogata. Si staglia così il delicato equilibrio tra il diritto del minore a veder riconosciuto un legame affettivo, che di fatto si è instaurato, con quello della tutela della dignità delle donne, onde scongiurare una mercificazione del corpo femminile, che riduce la gravidanza ad un puro negozio giuridico.

Anche in questo caso, il punto di equilibrio, allo stato delle leggi presenti nel nostro ordinamento, è dato dalla possibilità per il genitore intenzionale di ricorrere all’adozione in casi particolari ex art. 44 lett d) della legge sull’adozione.

Tuttavia, recentemente, la Corte Costituzionale, con le sentenze gemelle 32 e 33 del 2021, ha evidenziato come il ricorso a tale istituto non sia idoneo a garantire una tutela piena del minore come richiesto altresì dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo[1] Due sono le principale argomentazioni avanzate dalla Corte. In primis si ritiene che l’adozione in casi particolari non garantista al minore la stessa tutela derivante dall’adozione piena o dal riconoscimento ab origine della genitorialità intenzionale, posto che il legame di parentela si instaura unicamente tra adottato e adottante e non con i parenti di quest’ultimo, compromettendo così il diritto del minore alla propria identità (a seguito dell’adozione ex art. 44 lett d) l’adottante diventa genitore del minore, ma i fratelli del primo non sarebbero zii del minore). In secondo luogo, l’istituto dell’adozione in casi particolari non tutela adeguatamente il minore in caso di crisi della coppia, dal momento che è necessariamente richiesto l’assenso del genitore biologico, il cui diniego, seppur superabile ala luce di un attento bilanciamento di interessi da parte del Tribunale per i Minorenni, determina inevitabilmente delle lungaggine processuali, le quali vanno a detrimento del minore.

Il monito dei giudici della Corte Costituzionale, tuttavia, è rimasto finora inascoltato al punto che la Cassazione ha rimesso la questione al giudizio delle Sezioni Unite (ord. 1842/2022) in modo che possa essere colmata in via interpretativa, e facendo ricorso ai principi generali dell’Ordinamento, l’insufficienza di tutele denunciate dal Giudice delle Leggi. La sezione remittente propone una propria soluzione che consenta la trascrizione dell’atto di nascita di un minore generato facendo ricorso alla maternità surrogata. Nello specifico, si suggerisce un vaglio in concreto in punto di compatibilità con l’ordine pubblico, indagando nello specifico caso se vi sia stato un effettivo sfruttamento della donna gestante (si potrebbe per esempio valutare la gratuità o meno della g.p.a, le condizioni economiche della donna)

Sebbene la prima argomentazione possa dirsi ormai superata alla luce del recentissimo intervento della Corte Costituzionale n. 79 del 2022 , con il quale è stata sancita l’illegittimità dell’art. 55 l. Adozioni nella parte in cui prevede che i legami di parentela si instaurino solo tra minore e adottante, permangono le medesime perplessità in punto di tutela del minore in caso di crisi patologica della coppia, tanto più che l’istituto dell’adozione speciale può essere esperito solo su impulso di parte. Non essendo applicabile alla fattispecie de quo l’istituto della dichiarazione giudiziale di paternità/maternità (art. 269 c.c.), nè essendo estendibile in via analogica l’art. 9 della l. 40/2004, con cui si prevede l’obbligo di riconoscimento da parte del genitore intenzionale, il minore è sfornito di tutela, soprattutto economica, nel caso in cui il partner che non ha fornito in prima persona un contributo genetico, ma che ha condiviso il percorso genitoriale comune fin dall’inizio, decida in seguito di venire contra factum proprium e di non formalizzare il vincolo che di fatto si è già consolidato.

Alla luce della delicatezza dell’argomento e delle scelte etiche che sono sottese allo stesso, risulta evidente la necessità di un intervento da parte del Parlamento, prima ancora che del massimo organo di nomofilachia, che tenga in debito conto i diritti e le necessità del bambino, protagonista involontario di “una condotta che sarebbe illecita nel nostro Paese ma della quale il minore è del tutto irresponsabile”(Cass. 1842/2022).


[1]La Corte EDU ha sancito che gli Stati parte possono non consentire la trascrizione di atti che riconoscano sin dalla nascita lo status di padre/madre al genitore intenzionale al fine di non fornire incentivi indiretti ad una pratica procreativa che ogni Stato può considerare lesiva della dignità e dei diritti della donna. Tuttavia, la Corte EDU ritiene necessario che ciascun ordinamento assicuri la possibilità del riconoscimento giuridico del legame tra minore e genitore intenzionale “a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all’interesse superiore del bambino”.

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