Una assoluzione alla quale ha contribuito in maniera determinante l’avvocato Marco Casellato di Rovigo, componente della rete professionale Lpteam, quella di due parroci del circondario di Rovigo, che erano stati rinviati a giudizio con l’ipotesi di reato di truffa, in concorso con altri soggetti, in relazione all’erogazione di contributi regionali ottenuti per lavori di restauro e sistemazione delle rispettive parrocchie, ognuna delle quali oggetto di interventi per circa 400mila euro. I fatti al centro dell’inchiesta si sarebbero svolti tra il 2015 e il 2017, secondo la ricostruzione dell’accusa.
L’assoluzione è arrivata lo scorso 1° giugno, in tribunale a Rovigo. Secondo le contestazioni dell’accusa, l’erogazione sarebbe stata ottenuta presentando dichiarazioni mendaci, in particolare asserendo che i lavori oggetto del contributo erano ancor da eseguire, laddove, contestava la Procura, questi, al momento dell’ottenimento dei contributi, sarebbero già stati terminati.
A questo proposito, la difesa, affidata all’avvocato Casellato, per uno dei due parroci, a due colleghi per l’altro, ha spiegato come, a suo avviso, l’inchiesta soffrisse di un errore di fondo. Ossia, della mancata comprensione di come a essere conclusa fosse la parte di lavori che era possibile “coprire” con i fondi a disposizione della Cei, mentre era ben chiaro, sia alla Regione che alla Cei stessa, di come, in caso di erogazione di contributi, vi fossero altri importanti lavori che sarebbe stato possibile eseguire, come, in effetti, accaduto.
A questo proposito, nel corso del processo, è stato sentito anche il titolare dell’impresa edile che ha curato tutte le pratiche ed eseguito i lavori, che ha spiegato come, a monte della pubblicazione del bando, vi fosse stata una lunga attività di interlocuzione tra Cei e parrocchie da un alto, e Regione dall’altro, proprio per l’esigenza della seconda di capire cosa potesse servire alle prime e, quindi, andare a proporre un bando che rispondesse ad effettive esigenze.
Non solo: la difesa ha anche spiegato, per illustrare al giudice come mancassero tutti gli elementi costitutivi del reato di truffa, come ai due parroci, in ogni caso, non sarebbe derivato alcun “ingiusto profitto”, dal momento che il risultato finale è stato semplicemente stato quello di manutenere gli edifici sacri, appunto una delle finalità del bando che era stato elaborato e pubblicato dalla Regione. Per lo stesso motivo, essendo stati i lavori al centro del bando effettivamente e regolarmente eseguiti, viene a cadere – ha argomentato la difesa – anche il requisito del danno patrimoniale per la Regione, i cui contributi, al contrario, sono stati utilizzati come da indicazioni del bando.
Una volta indicati tutti i motivi per cui, a giudizio delle difese, non erano ravvisabili gli elementi oggettivi del reato di truffa, ossia le sue parti costituenti senza le quali non può essere ravvisato, le difese hanno svolto un breve passaggio anche sull’elemento soggettivo in capo ai due parroci, sostenendo come questo non possa essere ipotizzato, alla luce del fatto che nessuno dei due religiosi era un tecnico o un esperto e che, proprio per questo, si erano fatti seguire da specialisti del settore.
Per entrambi i sacerdoti è arrivata l’assoluzione.