In un periodo storico di rapida trasformazione tecnologica le intelligenze artificiali come Chat GPT o DeepSeek stanno rapidamente emergendo e rivoluzionando vari settori, dalla sanità alla creazione di contenuti. Tale tecnologia è in continuo aumento anche nelle App, che sfruttano l’IA per generare immagini, video e addirittura canzoni.
Una così rapida espansione di questi strumenti, tuttavia, ha evidenziato le lacune normative degli ordinamenti giuridici di tutto il mondo, sollevando complesse questioni in merito alla paternità ed alla titolarità dei diritti sulle opere generate autonomamente dall’Intelligenza Artificiale.
Ad affrontare la tematica, l’avvocato Mario Martinelli e il collega Francesco Pocorobba, dello Studio Legale GBMR, della rete professionale Lpteam.
- Il Diritto d’autore e le incertezze interpretative
In Italia il Diritto d’autore è disciplinato dalla Legge n. 633/41, la quale tutela tutte “le opere dell’ingegno di carattere creativo” che soddisfino il requisito dell’originalità (intesa come novità), attribuendo all’autore dell’opera ogni diritto di pubblicazione e sfruttamento economico.
Evidenti dubbi, tuttavia, si pongono in merito alle opere create dall’Intelligenza Artificiale: posto che per la L.633/41 le uniche opere meritevoli di tutela sono quelle originali e frutto dell’ingegno, possono essere considerate “opere dell’ingegno” anche quelle create dalla IA? Si consideri il caso di un romanzo generato da ChatGPT: il testo, pur essendo originale, è il prodotto di un algoritmo e non dell’opera dell’ingegno strictu sensu. L’output dell’IA, infatti, si basa su modelli predittivi e dati preesistenti, e non è certo l’espressione di un atto creativo consapevole. Sussistono, dunque, i requisiti per applicare le norme sul Diritto d’autore? E in caso affermativo, chi è l’autore dell’opera, l’uomo che ha dato il comando all’IA, l’IA stessa o il proprietario del software di IA? Le risposte a tali quesiti implicano importanti conseguenze, tra cui il diritto di pubblicazione e di sfruttamento commerciale dell’opera.
- La capacità giuridica come requisito per la brevettabilità
In tema di brevetti il caso DABUS (IA sviluppata per generare invenzioni autonomamente) ha sollevato analoghe questioni. Il caso trae origine nel 2019, quando un’utilizzatore dell’IA ha presentato domanda di brevetto per un’invenzione concepita da DABUS, indicando la stessa IA come “autore” dell’invenzione. La domanda di brevetto, presentata in vari paesi, è stata respinta nella maggior parte dei casi (Inghilterra, USA e Canada) sul presupposto che che l’IA non possiede capacità giuridica e non può, pertanto, essere titolare di diritti e obblighi.
Ad analoghe argomentazioni è giunto anche l’Ufficio Europeo dei Brevetti (Epo) con i casi J 8/20 e J 9/20, sostenendo che in base alla Convenzione sul Brevetto Europeo solo un essere umano può essere considerato inventore e designato come tale in una domanda di brevetto, essendo l’unico soggetto in grado di esercitare diritti e assumere obblighi giuridici.
- Il contributo umano nella creazione dell’opera – Il DDL 1146/2024
Un passo in avanti è stato fatto con le linee guida redatte dall’Ufficio brevetti statunitense, che ha nuovamente affrontato il tema delle creazioni inventate dalla IA ammettendo la brevettabilità di siffatte opere a condizione che l’essere umano che ha utilizzato l’intelligenza artificiale abbia apportato un “substantial contribution” ossia un contributo significativo nella creazione.
La Corte di Giustizia UE era giunta a simili argomentazioni nella sentenza C 145/10, che, pur non avendo trattato direttamente il tema dell’IA, aveva affermato che un’opera era meritevole della protezione dalle norme sul Diritto d’Autore qualora fosse “una creazione intellettuale dell’autore che ne riflette la personalità e si manifesta attraverso le scelte libere e creative di quest’ultimo”.
L’Italia, facendo proprie tali interpretazioni, a novembre 2024 ha presentato il Disegno di Legge n. 1146 sull’intelligenza artificiale in cui propone all’art. 24 una modifica all’art. 1 della Legge sul diritto d’autore, in cui viene estesa la tutela a tutte le opere dell’ingegno “anche laddove create con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale, purché il contributo umano sia creativo, rilevante e dimostrabile”.
Pur colmando le lacune normative, la nuova formulazione presterebbe comunque il fianco a dubbi applicativi: come stabilire se il contributo umano è sufficientemente creativo e rilevante?
Si può immaginare che il contributo dell’utente non possa limitarsi ad impartire istruzioni generiche all’IA, dovendo, invece, fornire alla stessa prompt innovativi o agglomerando i risultati ottenuti; nonostante ciò è probabile che si debba attendere che la casistica – anche giurisprudenziale – crei degli standard minimi di rilevanza e creatività.
- Conclusioni
Alla luce di quanto esposto è evidente che l’Intelligenza Artificiale non possa mai essere ritenuta l’autrice di un’opera. In via generale, infatti, l’apporto creativo dell’uomo consistente nelle istruzioni impartite alla IA e nell’elaborazione dei risultati ottenuti gli consente di ottenere il riconoscimento della paternità dell’opera, con i conseguenti diritti di tutela e sfruttamento economico della stessa.
Nonostante tale regola generale, tuttavia, bisogna considerare che le piattaforme che offrono servizi di IA spesso subordinano l’utilizzo del servizio all’accettazione delle condizioni d’uso, le quali potrebbero attribuire al proprietario del software i diritti sull’uso e sull’exploitation dell’opera creata. In tal caso l’utente, accettando tali condizioni, sarebbe formalmente l’autore dell’opera ma non potrebbe sfruttarne i diritti.