Una approfondita disamina a firma dell’avvocato Mario Martinelli e del collega Francesco Pocorobba.
Nel contesto del diritto civile e, più nello specifico, nell’ambito dei rapporti di agenzia, si pone frequentemente la questione della liceità della condotta dell’agente di commercio che, cessato il rapporto contrattuale con il preponente, intraprenda contatti con la clientela già gestita durante la vigenza del mandato. Tale tematica si innesta nel più ampio dibattito in materia di concorrenza, doveri post-contrattuali e tutela della clientela aziendale, toccando problematiche relative sia alla concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., sia all’eventuale efficacia di patti di non concorrenza (art. 1751 bis c.c.) stipulati tra le parti. La valutazione della legittimità di tali comportamenti non può prescindere da una disamina delle modalità attraverso cui l’agente entra nuovamente in relazione con i clienti e dalla verifica della sussistenza o meno di un vincolo pattizio che limiti l’attività post contrattuale.
Nel caso di assenza di un patto di non concorrenza, si deve distinguere preliminarmente tra l’ipotesi in cui l’agente si limiti a contattare i clienti che ricorda a memoria, senza il supporto di alcun documento estratto dagli archivi della mandante, e quella in cui si avvalga di elenchi, tabelle, CRM o altri strumenti aziendali recanti informazioni riservate. Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità e di merito, nel primo caso non si configura di per sé una condotta illecita. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14990/2021, ha chiarito che l’ex agente, in assenza di un patto di non concorrenza, può intraprendere legittimamente attività in concorrenza con l’ex mandante, contattando anche i medesimi clienti, purché ciò avvenga senza l’utilizzo di strumenti illeciti o fraudolenti e nel rispetto dei principi di correttezza professionale. Il mero ricorso alla memoria personale, intesa come bagaglio esperienziale e conoscitivo maturato durante il rapporto, non viola infatti né l’art. 1746 c.c., né integra una fattispecie di concorrenza sleale.
Diversa è invece la situazione in cui l’agente, cessato il mandato, si avvalga di documentazione commerciale appartenente all’ex preponente, come elenchi clienti, schede contatto o file digitali. Tale condotta è stata unanimemente ritenuta illecita sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, in quanto costituisce sviamento di clientela realizzato con mezzi non conformi alla correttezza professionale. La Cassazione, con sentenza n. 18772/2019, ha sottolineato che lo sviamento sia illecito qualora l’agente utilizzi mezzi che non avrebbe potuto avere lecitamente a disposizione dopo la cessazione del rapporto, evidenziando come ciò configuri un’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598, comma 3 c.c. Anche la giurisprudenza di merito ha confermato tale indirizzo: il Tribunale di Torino, con sentenza 21.09.2020 RG. 14495/20, ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’ex agente che, senza autorizzazione, aveva fatto uso di file aziendali contenenti dati sensibili sulla clientela, al fine di promuovere l’attività di un’impresa concorrente. A tal fine giova segnalare che la Cassazione (n. 30768/2021) ha precisato che, alla cessazione del rapporto, l’agente sia tenuto a restituire tutta la documentazione ricevuta, evidenziando che la mancata osservanza di tale disposizione espone l’agente a responsabilità risarcitoria.
Il quadro si complica ulteriormente qualora sia stato sottoscritto tra le parti un patto di non concorrenza, ai sensi dell’art. 1751-bis c.c. Tale clausola deve risultare da atto scritto e deve rispettare precisi limiti temporali (massimo due anni), oggettivi (ambito di attività) e territoriali. L’agente, in cambio dell’impegno assunto, ha diritto a un’indennità proporzionata al sacrificio economico imposto. In presenza di tale vincolo, qualunque attività svolta in violazione dei limiti pattuiti si configura come inadempimento contrattuale, anche qualora l’agente non utilizzi documenti aziendali, ma contatti i clienti sulla base della propria memoria. La violazione del patto comporta la responsabilità dell’agente e legittima l’ex mandante a richiedere il risarcimento del danno, oltre che la restituzione dell’indennità corrisposta.
Non è dunque decisivo, in presenza di un patto di non concorrenza, il mezzo utilizzato per contattare i clienti, quanto piuttosto la circostanza che l’attività concorrenziale si svolga all’interno dell’ambito vietato, integrando così una violazione del vincolo negoziale.
In conclusione, la liceità della condotta dell’agente che contatti ex clienti dipende strettamente sia dall’esistenza di un patto di non concorrenza, sia dal mezzo utilizzato per effettuare tale contatto. In assenza di patto, il contatto fondato sulla sola memoria non è illecito, mentre lo è quello effettuato con strumenti documentali sottratti o trattenuti in violazione degli obblighi di restituzione. In presenza di patto, invece, anche la sola iniziativa personale dell’agente può dar luogo a responsabilità contrattuale, qualora rientri nell’ambito vietato. Tali considerazioni impongono, in fase contrattuale, un’attenta redazione del patto di non concorrenza e, in fase patologica, una valutazione caso per caso della condotta tenuta, alla luce dei principi di correttezza, buona fede e lealtà propri del rapporto di agenzia.